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Benevento – Quanta bellezza in un abbraccio, quanta identità. (Jean-Claude Van) Daam Foulon è l’eroe del cinema che ha scansato una raffica di proiettili, che è rimasto in piedi dopo una coltellata al cuore, che si è rialzato di scatto dopo che un tir gli è passato sopra a 130 orari. Le guance rosse, gli occhi lucidi, i pensieri rivolti a chissà quale Dio, in quell’infinito giro di orologio che ha stabilito il confine tra il dramma e il delirio. Ma sì, vogliamo essere romantici, magari avrà vissuto tante vite in una, forse è addirittura diventato una persona nuova. Chissà, di solito va così.

Quanta bellezza nella bellezza, quella di un punto portato a casa alla beneventana maniera. Al diavolo l’altrui filosofia, che tanto somiglia all’erba del vicino sempre più verde. La Strega sta costruendo un percorso poderoso ben lontano dai titoloni e dagli sfavillanti servizi di approfondimento tecnico. Il Benevento è Benevento quando gioca da squadra, un collettivo difficile da sgretolare in notti del genere, quando anche i fantasmi non fanno paura e l’idea si erge a modello. 

Detto di Foulon, a cui va dato il merito di una gara perfetta in marcatura su Karsdorp, si fa tanta fatica ad esaltare un singolo piuttosto che un altro. Si potrebbe parlare di Barba, che in coppia prima con Glik e poi con Caldirola ha spadroneggiato. O dello stesso polacco, che prima dell’espulsione ha annullato Mayoral facendo sorgere addirittura il dubbio che lo spagnolo fosse in campo. E che dire dell’ex Werder, allora, pronto a fiondarsi nella battaglia e a salvare sulla linea a pochi istanti dalla fine il possibile 1-0 di Pellegrini? Dimenticheremmo l’indispensabile Ionita, il baluardo Hetemaj, o l’elegante furbizia di Schiattarella, uno che gioca coi piedi e con la testa (la sua e quella degli avversari) senza un attimo di tregua. 

Trattare l’argomento ‘individualità’ – viene da sé – è come esplorare la palude, che con un po’ di immaginazione è quasi l’anagramma di Lapadula. Ha agito da primo difensore, ma  dando sempre la sensazione di potersi accendere alla prima disattenzione dei centrali avversari. E anzi resta il rammarico per non averla chiusa in parità numerica, questa partita. Inzaghi avrebbe avuto ancora qualche freccia da scagliare nel finale per animare i suoi in ripartenza, cosa accaduta solo una volta con Tello, inciampato a un passo dalla gloria.

Poi il tramonto elettrizzante, la rabbia e l’orgoglio di difendere il fortino, di abbassare la saracinesca. E un eccesso di foga prima imperdonabile e poi perdonato. La preghiera, il pianto. La redenzione. E’ un punto che muove e scuote sia il cammino che gli avversari. Nessuna tra le ultime dieci della classifica era riuscita a fermare la Roma in questo campionato. Ce l’ha fatta il Benevento col suo metodo privo di lustrini ma tremendamente efficace nell’oscurare i limiti con la compattezza. Un piccolo passo che sa di vittoria, di orgoglio e mentalità. Altro che pareggio.