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Benevento – Agita le braccia, i palmi rivolti verso il prato. “Calma”. Mancano poco più di venti minuti alla fine di Benevento-Crotone e Pasquale Schiattarella decide di chiuderla qui. Rimprovera un compagno dopo l’altro, non gli va bene un’opinione – che sia una – diversa dalla sua. Uno sguardo a Inzaghi – con cui pure aveva battibeccato poco prima -, un cenno d’intesa, e poi spegne il motore. Da questo momento la partita passa in consegna al Crotone, una squadra in dieci da un’eternità e da un’eternità già retrocessa. Del due a zero non importa più a nessuno, si batte in ritirata confidando in passaggi sterili, si lascia la dispensa incustodita col barattolo di marmellata in bella mostra. Difficile resistere, anche per chi sulla carta, ma solo su quella, non dovrebbe avere fame. 

In uno scenario simile il predatore Simy va a nozze, perché diciannove gol in serie A non li fai per caso né per grazia ricevuta. Uno squalo che si fa toro quando vede il giallorosso. Quello che vale il pareggio è il ventesimo personale, il settimo in sette incroci con la Strega, sua vittima preferita. Probabilmente il più pesante, ma questo lo scopriremo martedì sera dopo LazioTorino. “Chi pensa che non abbiamo stimoli si sbaglia, giochiamo per la nostra famiglia”, ha detto al fischio finale. Parole che somigliano a un pugno ulteriore assestato sul sanguinante volto del Benevento

Un pugno, già, un maledetto pugno. Le mani di Schiattarella sono un eterno ritorno, perché è lì che si va sempre a parare. Aperte ieri, nel gesto che ha spento il Benevento, chiuse il 6 marzo, quando affondarono il colpo sullo zigomo di Roberto Insigne. Un episodio strano, su cui aleggiano ancora troppe ombre, finito in pasto ai quotidiani nazionali in men che non si dica con una superficialità imbarazzante. Per buona pace della sacralità dello spogliatoio. Qualcosa si è rotto, quel giorno, e l’isolata quanto illusoria vittoria dello Stadium contro la Juventus ha solo sviato l’attenzione dal vero problema del Benevento: il gruppo. 

Tutti i limiti e le fragilità della squadra sono emersi ieri, in novanta minuti di parole e comportamenti che lasciano basiti. Inzaghi che abbandona il campo a 5 minuti dalla fine perché non vuole vedere (pessimo segnale), il capitano della squadra che dà l’impressione di sfiduciare i compagni mandandoli più volte a quel paese, la grinta che manca nelle battute finali, quando basterebbe un fallo a fermare Dragus, a cui viene invece concesso campo libero sulla destra con ‘licenza di uccidere‘. Quel tiro finale di Glik, frutto della disperazione, è solo una beffa che sottolinea tutta l’inutilità di un finale remissivo contro la difesa peggiore della storia della serie A (lo dicono i numeri, non noi). Perché non provarci prima? La risposta è anche stavolta nelle nervose mani di Schiattarella, a cui da inizio campionato è stato affidato il destino del Benevento. Mani che da metà stagione in avanti hanno iniziato a dettare un ritmo da retrocessione.