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Lo raccontiamo così nonno Nicola. Era il 1922 l’anno di nascita, figlio di chi era sopravvissuto al Carso solo perchè una pallottola lo aveva attraversato senza ucciderlo.
Nonno non ha mai manifestato grande entusiasmo per la guerra e forse è per questo che come tanti non ha mai parlato con piacere dei sui anni giovanili.
“Ero bravo a scuola”.

“Le carocchiole, il maestro ci dava le carocchiole, qua al centro della testa. Vuoi vedere come?” e mimava il gesto con il pugno minaccioso senza mai realizzarlo.
Bambino intelligente e capace non poté proseguire gli studi per la scarsità di mezzi.
La camicia nera la indossava e andava alle adunanze fasciste.
“Che tempi! Puah”, è stato per anni l’unico commento a tante brutture vissute con la guerra.

Partito giovanissimo a 19 anni ritornò sei anni dopo carico di esperienze, sofferenze, umiliazioni e maltrattamenti che non raccontava ma lasciava intuire in frasi lasciate cadere. A Napoli aspettò come tanti ragazzi di andare chissà dove, mentre il Vesuvio fumava e si mangiava insalata di arance.
Il volo sul Mediterraneo in un aereo di latta con sconosciuti, rigidi di paura e di freddo, tra cielo e terra, tra aria e acqua, occhi negli occhi, muti per ore, pregando che l’unico rumore fosse quello del motore del loro aereo. Una trincea lontana dal campo di battaglia eppure così vicina al fronte da sentire tra i colpi le urla dei feriti.

Gli anni di prigionia nei campi degli inglesi con l’unica fortuna di poter essere sguattero in cucina e poter frugare tra gli avanzi perché a loro toccavano brodaglie di bucce di patate. “Che tempi! Puah!”. “One, two, three, four conta in inglese. Lo fai l’inglese a scuola? E le tabelline? Le sai le tabelline? Sette per otto, quanto fa?”

“Ah! Che ne sapete voi! Io ho fatto la guerra!”. Il ritorno vivo.
Una vita tranquilla nella sua “Chiusa”, dove c’è il bene di Dio: la sua terra, la sua vigna e i suoi olivi. La tranquillità di un paesaggio racchiuso in un vallone.
Una vita semplice, contraddistinta dalla curiosità e dal desiderio di conoscere il mondo, concedendosi qualche viaggio con la scusa di raggiungere i figli, senza avere mai la voglia di lasciare i suoi campi, la sua pace, “la casa mia”.

Sì, perché si può essere pieni di vita contando ogni giorno gli stessi passi, posando gli occhi sulle stesse cose, raccogliendo per l’ennesima volta, dalla stessa vite un grappolo che ti darà un buon bicchiere di vino, senza pensare che un altro anno è passato e si è rimasti fermi nello stesso luogo; l’importante sarà avere nei giorni di festa la famiglia raccolta alla stessa tavola.

Che insegnamento nonno!
Vivere senza bruciare né il mondo, né i sogni. “In Egitto, mi piacerebbe tornare in Egitto”.

Il nostro desiderio per te è che tu possa continuare a vivere in pienezza come hai fatto finora, con l’obiettivo di raddoppiare questo secolo raggiunto.

Carissimi auguri nonno Nicola.