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Ho visto la tappa da solo, ho urlato tanto e i miei occhi sono lucidi”. Donato Polvere, 53 anni, dal suo salotto di Pago Veiano ha colto l’attimo come il suo allievo Einer Rubio. Lo ha visto alzarsi sui pedali, staccare i compagni di fuga e allargare il sorriso dopo aver tagliato il traguardo della tredicesima tappa del Giro d’Italia a Crans Montana. Lo scalatore della Movistar può definirsi un ‘colombiano di Pago’. Si trasferì nel Sannio a 18 anni, nel team Vejus di Polvere, direttore sportivo che lo accolse come un figlio. “Mostrò subito grandi potenzialità – dice – sapevo che questo momento sarebbe arrivato e non vedo l’ora di sentirlo al telefono e festeggiarlo come merita”. Poi un retroscena: “Aveva messo un bollino su questa tappa, sapeva che a Crans Montana ci fosse una nutrita comunità di persone originarie di Pago Veiano, voleva vincere anche per loro. Voleva farlo e lo ha fatto. Del resto lui ormai è uno di noi”.

Quando Rubio nel finale di tappa si è lasciato alle spalle Cepeda e Pinot ha messo in mostra un gesto tecnico di grande naturalezza: “Non ha mai risposto agli scatti, ha sempre tenuto il suo passo accorciando il margine credendo nella sua forza. Conosco ogni suo movimento, nel vederlo ho avuto grande fiducia. Poi, all’improvviso, ha piazzato il colpo al momento decisivo e non lo hanno ripreso più. Non riesco a descrivere la mia emozione”. A Pago vive anche la sorella di Einer, che lavora nell’azienda di abbigliamento tecnico per ciclisti di Polvere. Tutti ora lo attendono: “Gli promisi una festa in caso di vittoria di tappa al Giro Under 23, lui vinse e gliela facemmo. Prima che partisse per questo Giro gliene ho promessa un’altra, sarà una festa bellissima”, dice. 

Il team Vejus Sport under 23 non esiste più, per Polvere (con Rubio nella foto) l’impegno era diventato eccessivo, inconciliabile con il lavoro in azienda, ma alla base dell’addio ci sono state anche altre ragioni: “Era dura andare avanti senza un aiuto, un sostegno. Sessantamila chilometri all’anno solo per consentire ai ragazzi di gareggiare. Al Sud il ciclismo è praticamente morto e la federazione non fa niente per migliorare le cose. E poi oggi i giovani hanno un’altra mentalità, si è perso un po’ lo spirito. Il ciclismo è fatica, sudore, abnegazione. Una passione che richiede sforzi enormi”. 

Era iniziato tutto con una scommessa: “Un ragazzino, mio vicino di casa, sognava di diventare un professionista. Gli dissi che se fosse andato più forte di me in bici avrei messo su un team. Lui andò più forte di me e io lo creai sul serio”, prosegue. L’arrivo nel Sannio di Einer è stato un colpaccio: “Nel 2017 lo accolsi a Pago. Me lo segnalò Gino Ferri, un mio amico di Reggio Emilia. Cercavo uno scalatore perché mi piaceva tanto allenare gli scalatori. Questo ragazzo introverso, testardo ma dal cuore grande, oggi mi ha dato una delle più belle soddisfazioni della mia vita”.

Un sigillo sannita al Giro d’Italia, Rubio vince a Crans Montana