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Benevento – Come in un gioco di magia, la ripresa c’è ma non si vede. La Campania prova stancamente a risollevarsi dopo aver subito più d’ogni altra regione il contraccolpo della grande crisi economica, lascia intendere che il trend sia positivo, ma vede aumentare al tempo stesso il divario con le altre realtà del centro-nord. Sono dati “diversamente allarmanti” quelli emersi dal rapporto sull’economia campana diramato dalla Banca d’Italia e presentato nel pomeriggio a Benevento, presso la sala DEMM di Palazzo De Simone. Grafici e statistiche non lasciano scampo ad interpretazioni di sorta e rendono l’idea di un quadro tutt’altro che roseo. Il rettore dell’Università del Sannio, Filippo de Rossi, nell’aprire il convegno ha posto l’accento sulla fuga dei cervelli elencando numeri di un certo impatto: “Abbiamo un sistema universitario all’avanguardia, il problema viene successivamente. Gli atenei campani sfornano talenti e profili preparati, ma le aziende del Mezzogiorno non sono pronte ad accoglierli, per questo preferiscono trasferirsi al nord”. Andando nel dettaglio, tra il 2006 e il 2016 circa 54mila laureati campani si sono trasferiti altrove. Un indicatore decisivo i tema di spopolamento ed inadeguatezza delle strutture e degli investimenti delle grandi imprese del Meridione. 

Una chiave di lettura sull’emigrazione giovanile verso i territori del Settentrione e dell’Europa ha provato a fornirla Giuseppe Marotta, direttore del dipartimento DEMM: “I segnali di ripresa generali non devono ingannare. Quel che emerge dallo studio della Banca d’Italia è che al Sud a trovare terreno fertile sono le piccole imprese, ovvero quelle che non producono investimenti importanti sulla formazione e sulla ricerca. E’ chiaro che con questi presupposti lo studente con specializzazione preferisce altre opzioni lontane dal proprio territorio di origine. E’ per questo che ritengo sia opportuno che la Regione investa su infrastrutture e logistica, oltre che sui servizi. Ad intralciare i piani è spesso la burocrazia che rallenta la gestione dei fondi e dunque gli investimenti strutturali. Anche nell’agroalimentare siamo indietro a causa delle procedure”. 

L’analisi del direttore della sede di Napoli della Banca d’Italia, Antonio Cinque, è partita invece da un resoconto sulla diminuzione delle filiali che tanto ha fatto discutere negli anni scorsi proprio nel Sannio: “Da diverso tempo abbiamo chiuso la nostra filiale di Benevento, ma il piano partito nel 2007 ci porterà a mantenere aperte soltanto le filiali di Napoli e Salerno in Campania scendendo complessivamente da 97 a 39 filiali sul territorio nazionale. Ne consegue una maggiore responsabilità da parte di quelle che resteranno aperte, a partire proprio da quella partenopea”, ha dichiarato prima di lasciare la parola a Demetrio Alampi e Paolo Emilio Mistrulli della Divisione Analisi e Ricerca Economia Territoriale. Da qui è partita un’ondata di slide poco incoraggiante. 

Per il Sannio il 2017 ha segnato una crescita nell’esportazione, che è aumentata del 2,4%, un dato che ha coinvolto prevalentemente le aziende che producono metallo, calzature e beni agricoli, ma ha anche portato un calo nel credito chiesto dalle imprese, un dato che dopo l’impennata del 2016 (anno successivo all’alluvione) si è nuovamente adeguato al trend campano. La regione, più in generale, ha mostrato un picco riguardo al trasporto aereo proprio nel 2017 con una crescita del 26% dovuta anche a una rimodulazione delle rotte a Capodichino che ha contribuito anche una crescita nel settore del turismo internazionale (+5,1%). Migliora anche il grado di soddisfazione delle famiglie: per la prima volta dalla crisi, i nuclei familiari che giudicano la propria posizione favorevole è maggiore rispetto a quelli che la giudicano in maniera negativa. 

La crisi a Benevento è stata vissuta comunque in tono maggiore rispetto al già grigio quadro presentato dall’intera regione. La produttività delle imprese è ferma al 65,7%, dato più basso tra le cinque province e in sostanza nettamente inferiore rispetto al dato regionale di ben 12 punti percentuali. In contrasto, stranamente, il dato sulla disoccupazione giovanile (dai 15 ai 24 anni): 36%. Ovvero inferiore rispetto a Napoli e compagnia e in piena linea con quanto fatto registrare in media sull’intera Penisola. 

Dopo l’esposizione dei dati, si è passati alla tavola rotonda moderata dalla docente dell’Unisannio Antonella Malinconico e a cui hanno preso parte Filippo Liverini (presidente Confindustria Benevento), Antonio Corvino (Direttore OBI), Riccardo Realfonzo e Domenico Scalera (entrambi docenti di economia all’Unisannio). Liverini ha ripetuto quanto di recente già sostenuto sul rapporto tra imprese e banche: “Essendo un imprenditore, nonostante i numeri negativi, sono abituato a pensare positivo e dunque a cercare soluzioni. Se i giovani preferiscono andare al nord dipende anche dalle condizioni della vita e questo obiettivo può essere perseguito grazie a una comunicazione più fitta tra le imprese e gli istituti bancari. Vorremmo far entrare i giovani nelle nostre aziende, cercare profili specifici e aprire le porte agli esperti in lingua inglese e marketing, ma quando non c’è crescita è difficile soprattutto per noi investire”. 

Per Corvino la chiave è nella logistica: “Se prendessimo alla lettera questi dati e le prospettive di crescita, una convergenza tra il Mezzogiorno e il resto d’Italia l’avremmo soltanto tra cinquant’anni. Perché il Mezzogiorno è indietro, e dunque per recuperare terreno dovrebbe crescere più di quanto faccia invece il resto d’Italia. I rischi da scongiurare sono tre: il primo è la rassegnazione nel considerare il Mezzogiorno ormai in crisi irreversibile; il secondo è l’autonomia che con sempre più insistenza rivendica il nord-est; il terzo è che le regioni meridionali non ragionino d’insieme. Bisogna parlare di dorsali, e non di territori regionali. La dorsale Napoli-Bari può essere molto produttiva così come la Taranto-Salerno, punterei su questo discorso”.

Riccardo Realfonzo parla di “crescente irrilevanza” in riferimento alla situazione della Campania: “Tra il 2008 e il 2013 il Pil della regione è calato del 15%, un’enormità. E’ chiaro che adesso la crescita è più lenta e va a scontrarsi con problemi i vario genere. La parola chiave è competitività. Calando la competitività, le aziende non hanno contribuito a una crescita dell’export e non sono riuscite ad adattarsi alle variazioni della domanda”. 

In chiusura Domenico Scalera ha invece citato i settori di ricerca e sviluppo: “Al Sud il 18% degli studenti abbandona la scuola dopo la terza media e il 50% di coloro che terminano le superiori lascia il territorio dopo il diploma per frequentare già i corsi di laurea triennale negli atenei del Nord. Quasi sempre questi studenti sono quelli di maggior prospettiva, bisogna investire sui settori di ricerca e sviluppo in modo da puntare all’internazionalizzazione delle aziende attraverso investimenti nell’hitech e nel capitale umano. Così potremo frenare lo spopolamento e la conseguente regressione”.