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Andrea Di Santo, spin doctor e consulente politico, con un breve vademecum, elenca le lezioni apprese sul campo (minato) delle campagne elettorali.

Una premessa, prima di elencare le sette cose che ho imparato dalle mie prime sette campagne elettorali: “le campagne elettorali sono un caos”. E il caos, si sa, non è amministrabile. E questa è una consapevolezza che risiede, ancora più che nei politici, nella coscienza di agenzie e professionisti della comunicazione specializzati in politica e campagne elettorali. 

E, per di più, non c’è uno tra i millemila manuali che studiano le campagne elettorali capace di offrire al consulente e al politico di turno una chiara e coerente via da percorrere. E questo per un motivo: ogni campagna elettorale è una storia a sé. Anzi, un caos a sé.

C’è tuttavia una strada comune che percorrono i consulenti che, come me, cercano di dare un’organizzazione al caos elettorale: studere, studere, studere. Studiare dai manuali, sì, ma soprattutto studiare DAL manuale: l’esperienza.

Ecco, allora, quello che ho imparato (sulla mia pelle) dalle sette campagne che ho avuto il piacere di gestire e per le quali ringrazio politici e agenzie di comunicazione che hanno avuto fiducia in me. 

Sette consigli pratici per spin doctor, politici e per aspiranti tali per provare a mettere ordine al caos elettorale:

  1. Lo spin doctor, medico curante del candidato.
    Una e suprema è la malattia virulenta che si diffonde nei candidati durante il periodo elettorale: la Comunicansia. E’ bene che lo spin doctor agisca, appunto, da dottore, che si prenda cura dell’assistito e che ne plachi gli istinti comunicativi.  
  2. La campagna parte quando è pronta.
    La Comunicansia si diffonde e investe anche il consulente. Si è chiuso il contratto – come spesso (ahimè) avviene – a un mese dal giorno del voto, o addirittura più tardi. Quindi bisogna comunicare: usciamo con questo, usciamo con quello.
    Ma senza strategia non c’è comunicazione: meglio stare in silenzio e concentrarsi sul pianificare per bene il tempo a disposizione per la comunicazione che partire in quarta senza sapere dove si sta andando. 
  3. Ancor prima del candidato, è il team che deve capire la strategia.
    Se sarai capace di ottenere la fiducia del candidato, lui ti seguirà. Più difficile, invece, ma forse ancor più importante è che la squadra che si dedica alla campagna comprenda la strategia dello spin doctor e dia il proprio contributo. L’ingranaggio è composto da diversi bulloni (campaign manager, social media manager, creative designer, ecc.) e se uno va nella direzione sbagliata si inceppa tutto. 
  4. Non innamorarti del candidato, innamorati della strategia.
    Il rapporto tra il consulente e il candidato è e deve essere privilegiato nel periodo della campagna (a buon cuore di mariti e mogli). E’ bene, tuttavia, evitare che quel rapporto si trasformi in amicizia, per lo meno nel periodo della campagna. Il candidato non ha bisogno di adulatori, ne ha già troppi durante la campagna. Il candidato ha bisogno che il consulente gli illustri come crede si possa vincere, e che questi sia il suo primo critico. 
  5. Non innamorarti della strategia, innamorati dei dati.
    Con questo, probabilmente, mi attirerò il dissenso dei miei colleghi. C’è un mantra nella comunicazione politica: mai cambiare strategia in corso d’opera. Invece sì, la strategia si cambia quando i dati (sondaggi, analisi sentiment online, ecc.) ci dicono che non funziona. 
  6. Mai parlare di comunicazione politica con un candidato.
    In campagna elettorale il politico deve bussare alle porte, organizzare la lista, i comitati, tenere discorsi, eventi, interviste, dibattiti e molto altro. Tediarlo, magari per provare a convincerlo delle scelte strategiche, con pipponi sulla sociologia della comunicazione, la psicologia delle masse e i meccanismi di influenza dei social media non serve a nulla se non a produrre distacco. E, con ogni probabilità, la volta seguente non ti risponderà al telefono. 
  7. Candidato tirchio, campagna povera.
    I flussi – mai stati cosí elevati – di comunicazione tra online e offline permettono a ogni elettore di poter confrontare, e spesso avviene, la comunicazione dei candidati del proprio paese e della propria città con quella dei comuni limitrofi o delle altre città al voto. Non ci si può più permettere di affidarsi alla tipografia amica o a parenti presunti esperti. Neanche per un manifesto. Nell’era del digitale la qualità dei contenuti è imprescindibile per plasmare la comunicazione e diffondere i messaggi di campagna. 

Insomma: il cittadino sa riconoscere una Ferrari da una Fiat Uno. 

Un piccolo vademecum, questo, per orientarsi nella prossima campagna elettorale cercando di non impazzire nell’intento.

Eppure un lavoro non finito, aspettando la prossima campagna e la prossima elezione.

Andrea Di Santo