Castel Volturno – Un quadro di emarginazione e degrado socio-economico, ma anche di integrazione mai veramente completata, fa da sfondo alla tragica vicenda che ha coinvolto a Castel Volturno (Caserta) un bimbo di due anni, ucciso ieri a botte dal patrigno mentre la madre lavorava. L’uomo, un nigeriano di 30 anni, è stato arrestato dai carabinieri, mentre la madre del piccolo, una liberiana arrivata in Italia nei primi anni duemila dopo essere scappata dalla guerra civile nel suo Paese, è sotto choc, e si riprenderà con grande fatica.
Il Procuratore di Santa Maria Capua Vetere Maria Antonietta Troncone ha parlato di “storia orribile maturata in un tessuto sociale degradato e abbandonato, senza alcun riferimento”. Una vicenda emblematica di come possa essere complicato vivere in un posto come Castel Volturno, dove si contano ventimila immigrati perlopiù africani, e dove soprattutto migranti che hanno iniziato un percorso di inclusione nella legalità, che sono la minoranza, si trovano a vivere con la stragrande maggioranza degli altri immigrati non regolari o dediti allo spaccio di droga o ad altri reati, che dunque sopravvivono, lavorando spesso in nero nei campi o nell’edilizia, e non si integrano; una mescolanza che può essere deleteria.
E’ il caso della 29enne madre del piccolo ucciso, operatrice socio-sanitaria, con un diploma e una breve frequentazione universitaria, incoronata persino come reginetta al Carnevale di Villa Literno, capace di parlare un italiano fluente: negli ultimi mesi la donna aveva iniziato ad avere problemi con la giustizia – era stata arrestata per spaccio di droga – e forse proprio dopo aver iniziato la relazione con il 30enne nigeriano, che faceva il giardiniere in modo saltuario, e passava la sua giornata con gli amici connazionali, alcuni dediti a spacciare, nei pressi di un negozio di alimentari gestito da africani situato sulla statale Domiziana.
“Conoscevo la ragazza sin da quando venne in Italia con la madre – ricorda Renato Natale, sindaco di Casal di Principe e medico che da vent’anni assiste gli immigrati al Centro della Caritas “Fernandes” di Castel Volturno – erano fuggite dalla guerra civile in Liberia, durante la quale il papà era stato ucciso. Le curavo entrambe; qualche mese fa fui chiamato a casa proprio dal compagno della ragazza, perché la mamma stava male; poi purtroppo è morta. Lei (la ragazza, ndr) non riuscivamo a trovarla, e scoprimmo che era stata arrestata a Roma. Eppure la ragazza era stata aiutata molto da quando era piccola; un medico volontario, Gianni Grasso – aggiunge Natale – le ha fatto prendere un diploma di alberghiero facendola lavorare sulla navi da crociera, l’ha iscritta all’Università a Napoli. Quello che è accaduto è terribile”. Dopo la morte della madre, la situazione per la 29enne liberiana è peggiorata; la donna, per lavorare, affidava il piccolo al compagno, e sembra che in passato sia lei che il bimbo fossero già stati maltrattati, ma lei non lo aveva confidato a nessuno, perchè forse non sapeva con chi parlare. Anche Antonio Casale, direttore del Centro Fernandes, situato a non molta distanza dalla casa dove la liberiana viveva con il compagno e il figlio, conosceva la coppia. “Venivano spesso da noi, lui era affettuoso con il piccolo, non riesco a capire come sia potuto accadere. Di storie di violenza ne apprendiamo tante, vista la povertà e la disperazione che si vive nella comunità di immigrati a Castel Volturno, ma non avevano mai visto una violenza del genere contro i bimbi”.
Sul fronte delle indagini, la vicenda sembra quasi del tutto ricostruita: tra oggi e domani ci sarà l’autopsia sul corpo del piccolo, che dovrebbe stabilire con esattezza come è morto il bimbo, ovvero se in seguito all’uso da parte del 30enne nigeriano di corpi contundenti o altri oggetti particolari, o delle sole mani; contestualmente dovrebbe esservi anche la convalida del fermo eseguito ieri sera su ordine della Procura di Santa Maria Capua Vetere.