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Doveva essere il giorno della sentenza al processo “Medea” sugli appalti della Regione Campania finiti al clan dei Casalesi, ma la difesa dell’imprenditore Giuseppe Fontana, ritenuto legato al boss Michele Zagaria, ha tentato l’ultima carta della ricusazione del collegio giudicante, composto da Domenica Miele (presidente), Debora Ferrara e Maria Gabriella Iagulli. Per questo alla fine il processo, in corso ad Aversa (Ce) al tribunale di Napoli Nord, è stato rinviato a mercoledì 31 gennaio, data entro la quale la Corte di Appello di Napoli dovrebbe pronunciarsi sull’istanza presentata dai legali del costruttore, Alfonso Stile e Alfredo Sorge. Per questi ultimi, la Corte avrebbe anticipato il suo orientamento circa la colpevolezza di Fontana, prima bocciando la richiesta di revoca della custodia cautelare in carcere per il proprio assistito, quindi emettendo “motu proprio”, ovvero di propria iniziativa, un’ulteriore ordinanza di carcerazione nella quale veniva contestata a Fontana un’aggravante, quella della banda armata, non presente nell’originario capo di imputazione.

Nella requisitoria del 20 dicembre scorso, il sostituto della Dda di Napoli Maurizio Giordano aveva formalizzato le sue richieste proponendo pene dai due ai 15 anni per i sette imputati; in particolare aveva chiesto per Fontana – tuttora detenuto – la pena maggiore di 15 anni, mentre aveva richiesto una condanna a 7 anni per il reato di corruzione con l’aggravante mafiosa per l’ex senatore dell’Udeur Tommaso Barbato, ex funzionario regionale addetto al settore idrico, i cui appalti sono entrati nel mirino della Dda e quindi nel processo. Barbato (nella foto) divenne famoso nel febbraio 2008 per lo sputo rifilato al senatore Nuccio Cusumano in occasione della mozione di sfiducia al governo Prodi. Giordano ha però chiesto l’assoluzione per Fontana per l’ipotesi di corruzione nei confronti dei politici di Forza Italia Pio Del Gaudio (ex sindaco di Caserta) e Carlo Sarro (deputato), la cui posizione è stata archiviata mesi fa. Una pena di sei anni è stata avanzata per il fratello di Fontana, Orlando, anch’egli imprenditore, divenuto noto perché avrebbe acquistato, da un poliziotto che partecipò alla cattura di Michele Zagaria nel covo di via Mascagni a Casapesenna il 7 dicembre 2011, la pen drive del boss, dove dovrebbero essersi nomi di politici al soldo del clan.

Quattro anni per corruzione, ma senza l’aggravante mafiosa, sono stati poi richiesti per l’ex carabiniere del comando provinciale di Caserta Alessandro Cervizzi, che avrebbe cercato di aiutare Fontana ottenendo in cambio soggiorni per il figlio in una villa dell’imprenditore al Sestriere; dieci anni sono stati chiesti per l’imputato Vincenzo Pellegrino. L’assoluzione è stata invece proposta per il finanziere, tuttora in servizio a Caserta, Silvano Monaco, accusato di rivelazione di segreti d’ufficio. Nella scorsa udienza il pm chiese inoltre alla Corte di valutare se “disporre l’invio alla Procura dei verbali delle deposizioni di Fulvio Martusciello, Giuseppe Ascierto e Piero Cappello”, ipotizzando a loro carico, “il reato di turbata libertà nel procedimento di scelta del contraente (articolo 353 bis codice penale)”. I tre politici furono sentiti durante il processo. Nel settembre scorso, poco prima che terminasse l’istruttoria dibattimentale, fu ascoltato in aula anche il sindaco di Benevento Clemente Mastella, in qualità di leader dell’Udeur negli anni in cui vi militava Barbato. Le arringhe difensive inizieranno il 22 dicembre.