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Caserta – Tra assoluzioni confermate e prescrizioni riconosciute, si è concluso senza responsabili il processo in appello per i lavori di riqualificazione dello storico Palazzo Teti Maffuccini di Santa Maria Capua Vetere – vi dimorò Garibaldi nel 1860 – e per quelli relativi al collettore fognario del Comune di Grazzanise; entrambe le opere, secondo la Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli erano finite, dietro il pagamento di tangenti ad amministratori pubblici (Palazzo Teti), ad aziende riconducibili al clan dei Casalesi, in particolare alle fazioni guidate da Michele Zagaria e dalla famiglia Schiavone.
La Corte d’Appello di Napoli, contrariamente alle richieste di inasprimento di pena rispetto al primo grado avanzate dalla Procura Generale, ha infatti emesso sentenza di non luogo a procedere per intervenuta prescrizione per l’ex sindaco di Santa Maria Capua Vetere Biagio Maria Di Muro, per il dirigente comunale Roberto Di Tommaso, il costruttore Guglielmo La Regina, e soprattutto per l’imprenditore Alessandro Zagaria, ritenuto dalla Dda il trait d’union tra il clan dei Casalesi e i colletti bianchi. Alessandro Zagaria è stato in particolare assolto, come già avvenuto in primo grado, dall’accusa di associazione camorristica, mentre la prescrizione, così come per Di Muro, Di Tommaso e La Regina, è scattata per il reato di corruzione, che la Corte d’Appello ha derubricato in altra fattispecie di reato, di cui si saprà quando saranno depositate le motivazioni.
Per il filone relativo ai lavori al collettore fognario di Grazzanise, la Corte ha inoltre confermato l’assoluzione, già disposta in primo grado dal tribunale di Santa Maria Capua Vetere, anche per gli imprenditori Francesco e Nicola Madonna, che per questa indagine hanno trascorso anche un periodo in carcere. Nello staff di difensori Renato Jappelli, Giovanni Cantelli, Giuseppe Stellato, Angelo Raucci, Nicola Garofalo.

La sentenza d’appello, con l’eccezione dei fratelli Madonna, ribalta dunque quanto accaduto in primo grado al tribunale di Santa Maria Capua Vetere, dove Di Muro era stato condannato a cinque anni e mezzo e Alessandro Zagaria a quattro anni; già in quella circostanza però la Corte aveva escluso l’aggravante mafiosa condannando solo per la corruzione semplice, ritenendo non attendibili i pentiti del clan Benito Natale e Massimiliano Caterino, che avevano parlato dei lavori finiti alla ditte colluse. In Appello la Procura Generale di Napoli aveva “rincarato la dose”, chiedendo sette anni e mezzo per Di Muro, 16 anni per Alessandro Zagaria, 10 anni e mezzo per l’imprenditore Francesco Madonna, e pene più alte per La Regina (otto anni e mezzo la richiesta a fronte di una condanna in primo grado a sei anni) e il dirigente pubblico Di Tommaso (un anno la pena in primo grado, tre anni la richiesta del Pg). L’indagine da cui è nato il processo aveva portato nell’aprile 2016 tutti gli imputati oggi assolti agli arresti, alcuni in carcere come Di Muro, Zagaria e i due Madonna, altri ai domiciliari.