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Caserta – Dieci anni dopo la stagione del terrore nel Casertano, nel corso della quale il gruppo di fuoco del clan dei Casalesi guidato da Giuseppe Setola uccise 18 persone innocenti, colpendo soprattutto imprenditori che avevano avuto il coraggio di denunciare le richieste di pizzo provenienti dal clan, il “quadro della collaborazione tra operatori economici e istituzioni nella lotta al racket delle estorsioni o dell’usura è ancora inadeguato e insufficiente. E molti imprenditori non denunciano per convenienza, perché in un contesto socio-economico non positivo è meglio non denunciare. Penso alla casa cinematografica che stava girando alcune scene delle serie tv Gomorra a Torre Annunziata, che non denunciò la richiesta di estorsione fatta dal boss Francesco Gallo, perché era meglio così”. Lo dice Tano Grasso, presidente del F.A.I., la Federazione che raccoglie le associazioni antiracket italiane, parlando alla prefettura di Caserta nel corso della conferenza stampa, alla presenza peraltro di appena due giornalisti, convocata dal prefetto Raffaele Ruberto per illustrare il calendario delle iniziative per commemorare gli imprenditori uccisi dai killer dei Casalesi nel 2008, ovvero Domenico Noviello (16 maggio), Raffaele Granata (11 luglio), Antonio Ciardullo e il suo dipendente Ernesto Fabozzi (12 settembre). Presenti il Commissario Antiracket Domenico Cottaia, Luigi Ferrucci, presidente dell’associazione antiracket di Castel Volturno, nata qualche mese dopo l’omicidio Noviello, il figlio di quest’ultimo, Massimiliano, sotto scorta, l’imprenditore Pietro Russo, anch’egli sotto scorta perché denunciò sedici camorristi, tutti condannati, e il 13 maggio del 2008, tre giorni prima del delitto Noviello, la camorra gli bruciò l’azienda ubicata a Santa Maria Capua Vetere. Grasso ammette che “nel Casertano, come in altre parti la lotta dello Stato alla mafia ha fatto registrare passi avanti importanti, ma gli imprenditori che denunciano sono ancora troppo pochi. E parlare di mancanza di fiducia verso le istituzioni è solo un alibi; penso a questo territorio, dove forze dell’ordine e magistratura arrestano di frequente esponenti delle cosche camorristiche; ciò vuol dire che lo Stato si fa sentire”. Grasso spiega come nel 2008 la strategia della camorra casalese di colpire gli imprenditori coraggiosi pagò, visto che dopo il delitto di Raffaele Granata, titolare di un lido a Varcaturo (Napoli), i proprietari di altri lidi del litorale domizio si affrettarono a pagare il pizzo e il clan raccolse in pochi giorni un milione di euro”.