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Caserta – Ancora nessuna ammissione di colpevolezza, ma intanto cominciano a parlare con l’autorità giudiziaria, soprattutto per respingere le accuse, gli agenti della polizia penitenziaria arrestati lunedì scorso per le violenze avvenute il 6 aprile 2020 durante la perquisizione straordinaria effettuata nel carcere di Santa Maria Capua Vetere (Caserta). Angelo Bruno, l’agente 55enne finito in carcere perché ritenuto co-organizzatore ed esecutore materiale delle violenze, chiamato in causa molte volte nell’ordinanza di arresto dai detenuti vittime dei pestaggi, ha contestato al Gip Sergio Enea, nel corso dell’interrogatorio di garanzia tenuto nel carcere di Carinola, ogni addebito, spiegando inoltre di non essere più nel Corpo della Penitenziaria, visto che nel marzo scorso è stato riformato a causa di una malattia agli arti.
Il suo avvocato, Rossana Ferraro, spiega che “la pratica per essere riformato è stata avviata da Bruno nel 2019, ben prima dei fatti contestati nell’ordinanza“. Presente all’interrogatorio anche il procuratore aggiunto di Santa Maria Capua Vetere, Alessandro Milita, che ha spiegato che l’ufficio inquirente non era a conoscenza della circostanza, che doveva essere comunicata dall’amministrazione penitenziaria. Si tratta peraltro di una situazione sopraggiunta che potrebbe incidere sulle esigenze cautelari che hanno spinto il gip ad ordinare la carcerazione di Bruno, ovvero il pericolo di reiterazione del reato, che nel caso di Bruno non dovrebbe più sussistere.

Davanti al Gip Bruno ha respinto le accuse, dicendo di non essere lui l’agente riconosciuto dai detenuti. “A causa della mia malattia – ha riferito – non portavo né casco né manganello, ed ero esonerato da questo servizio. Se qualcuno mi ha riconosciuto come un picchiatore ha sbagliato. Io sto all’amministrazione, e peraltro al reparto Danubio, non al Nilo“. Sulle violenze avvenute ai danni dei detenuti, Bruno ha spiegato che il 6 aprile c’era tanta confusione nei corridoi anche per la presenza di agenti inviati da altre carceri; “ho visto colleghi che piangevano, detenuti che non volevano mettersi le mascherine e protestavano. Se sono avvenuti fatti violenti li censuro, ma io non li ho commessi“.
Un altro agente, Maurizio Colurciello (difeso da Vittorio Giaquinto), destinatario di una misura di interdizione, ha risposto all’interrogatorio spiegando di non aver “partecipato materialmente alle violenze; sono cardiopatico, ho ceduto il manganello ad un collega. Ci è stato imposto dai superiori di prendere caschi e manganelli“. Oggi sono stati sentiti anche altri sette agenti (due in carcere, cinque sospesi).