“Se voglio domani faccio una telefonata e faccio saltare il processo, qua non viene più nessuno a testimoniare“. Sono le parole pronunciate dal teste 26enne Bruno D’Avino al processo in corso all’aula bunker del carcere di Santa Maria Capua Vetere (Caserta) e relativo alle violenze avvenute il 6 aprile 2020 nella struttura detentiva casertana; un maxi-processo con 105 imputati tra agenti penitenziari, funzionari del Dap e medici dell’Asl di Caserta, e oltre 100 parti civili, soprattutto persone detenute all’epoca dei fatti.
Le parole di D’Avino provocano bagarre in aula, con il pm Alessandro Milita che sbotta, “ma cosa dice D’Avino“, e gli avvocati infuriati per quella che considerano “una grave minaccia“. Il presidente del collegio di Corte d’Assise Roberto Donatiello sospende per qualche minuto l’udienza, permettendo al pm di parlare con D’Avino e “calmarlo“.
Un teste di peso il 26enne, costituitosi parte civile e attualmente detenuto a Carinola, ritenuto dalla Procura come uno dei capi delle proteste scoppiate il 5 aprile, in pieno lockdown, nel carcere di Santa Maria Capua Vetere per la notizia di casi di positività al Covid; proteste che il giorno dopo provocarono la perquisizione straordinaria degli agenti con i pestaggi dei detenuti.
Prima di pronunciare le parole “incriminate“, D’Avino si era rivolto all’imputato Angelo Bruno, agente penitenziario oggi in pensione: “che c’è, ora non fai il guappo?” ha detto, per poi sfogarsi: “A noi chi ci tutela, io ho denunciato i miei carnefici e ora sto con loro” ha spiegato, riferendosi alla circostanza che nel carcere di Carinola sono in servizio agenti imputati nel processo che erano stati sospesi ma che l’amministrazione penitenziaria ha poi reintegrato.
Dal canto suo Bruno ha reso dichiarazioni spontanee, annunciando querela. “Conosco queste persone, ne ho conosciute tante nelle carceri in cui ho lavorato, e se dicono queste cose è per minacciare. Ora ho paura e lo denuncio, anche perché ha dimostrato che è uno che comanda“. Di diverso avviso il pm, che parla di “esternazioni, non minacce“.
Altro momento di tensione in udienza quando il teste ha ammesso che il 5 aprile, durante le proteste per la positività di un recluso, dopo aver piazzato le brande davanti ai cancelli della sezione, mise vicino al vetro un tavolo con sopra i fornellini. “Minacciammo gli agenti che dentro c’era l’olio bollente e che l’avremmo tirato loro addosso in caso di irruzione in sezione. Dentro però c’era il te e l’olio l’abbiamo usato per gli spaghetti“.
A quel punto Angelo Raucci, difensore di un imputato, ha chiesto al presidente di fermare l’esame e interrompere il verbale, perché “il teste si è autoaccusato di vari reati, tra minacce e resistenza a pubblico ufficiale, per cui dovrebbe essere sentito con le cautele dovute ad un indagato“. Per il presidente del collegio invece il teste non si sarebbe autoaccusato perché i fatti del 5 aprile non avrebbero attinenza con le violenze avvenute il giorno dopo.
Violenze in carcere, il teste: “Se voglio salta il processo”. Avvocati insorgono
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