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Non bastavano le faide di camorra, tra focolai sempre accesi, in diverse zone di città e provincia. Una nuova ondata di violenza giovanile sta squassando Napoli, con episodi da allarme rosso. Sabato sera il culmine: un 12enne accoltellato da un coetaneo, in pieno centro; una 14enne aggredita da una trentina di persone, a calci e pugni, a San Giorgio a Cremano. E gli esperti tornano a interrogarsi.

Abbiamo fallito come comunità educativa” dice, senza giri di parole, don Luigi Merola. Ex parroco anticamorra di Forcella, oggi presidente della fondazione ‘A Voce d’e creature, rivolta ai ragazzi a rischio, il sacerdote sottolinea: “A Napoli il problema è ancora più grave, perché – al di là delle associazioni che, come la nostra, si arrangiano – dovrebbero esserci istituzioni pubbliche, lo Stato dovrebbe fare quello che facciamo noi”.

Merola ricorda che “noi siamo terzo settore, un ente privato, che si sostituisce allo Stato. Ma queste cose dovrebbe farle lo Stato, il Comune, la Regione. Noi lo facciamo perché abbiamo una vocazione, ma altri al nostro posto dicono che non è compito loro farlo”. Il prete si sfoga: “Noi dobbiamo combattere contro la criminalità organizzata, che va a prendersi i ragazzi, ma tante volte dobbiamo combattere anche contro la mentalità dello Stato, che non investe in queste realtà, in questi quartieri. C’è il deserto”.

Un’analisi del fenomeno la offre Antonio D’Amore, ex coordinatore provinciale di Libera, ora referente del progetto Amunì, avviato dall’associazione antimafia per i minori sottoposti a procedimento penale, e impegnati in un percorso di riparazione.

Questi ragazzi – afferma – hanno come codice comunicativo solo la violenza, il mondo adulto di riferimento è quello della camorra. Non c’è più il ragionamento, né la collocazione di quello che succede nel tempo, tra il passato e il futuro: vivono un immanente presente. A volte non hanno nemmeno la concezione che quella coltellata possa avere conseguenze nefaste sia per chi la riceve sia per chi la dà”. Del resto, “la condizione delle carceri minorili è difficilissima, la situazione è molto calda nelle strutture di reclusione per minori. Questo è il barometro generale della classe giovanile”. Cioè, di essere “senza voce, siccome non hanno spazi per la rappresentanza; impaurita, perché il futuro è diventato tempo di minaccia, più che di speranza; e anche isolata, perché dopo la pandemia viviamo una fase di solitudine globale, che nemmeno i social possono attenuare, essendo la visione di una vita digitalizzata, diversa da quella di una vita vissuta”. In aggiunta “abbiamo un sistema politico che non mette mano a una proposta educativa per la gioventù. Si cerca di mettere qualche pezza a colori, ma manca una visione organica”. Il carabiniere e scrittore Vincenzo Zurlo, invece, non ha dubbi: “Per arginare il fenomeno delle baby gang e della criminalità minorile occorrono interventi coraggiosi: bisogna togliere i figli ai delinquenti”. La tolleranza zero, del resto, Zurlo la invoca da tempi non sospetti. Come nel suo ultimo libro, ‘Mamma camorra. Nel ventre del male’. “La verità – sostiene – è che chi delinque segue quasi sempre modelli sbagliati e quasi sempre quei modelli sbagliati sono in famiglia. Chi cresce in contesti deviati, assorbe sin da bambino modi di fare e di comportarsi deviati. E questi modi di fare si traducono nella sopraffazione”. Per questo “i giudici dovrebbero adottare per i minori decisioni analoghe a quelle adottate nei casi di famiglie in cui accadono violenze o i genitori sono tossicodipendenti”.

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