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Dopo aver ottenuto per i gravi fatti di Cardito del 27 gennaio 2019, in cui il piccolo di 7 anni Giuseppe Dorice perse la vita e la sorella di 8 anni Noemi restò gravemente ferita, l’ergastolo per Tony Essobti Badre, patrigno delle vittime, la Procura di Napoli Nord chiede nell’atto di appello depositato ieri, che anche la madre dei due bambini, Valentina Casa, venga condannata per gli stessi reati, per non aver impedito le violenze ai danni dei figli. In primo grado, davanti alla Corte d’Assise di Napoli, la Casa è stata infatti assolta dall’accusa di concorso nell’omicidio di Giuseppe e nel tentato omicidio della figlia Noemi, contestata dalla Procura sotto il profilo omissivo, ed è stata invece riconosciuta colpevole, e condannata a sei anni, per il reato di maltrattamenti commesso verso i figli, in concorso con Badre, prima di quel tragico 27 gennaio. Per i sostituti della Procura di Napoli Nord Fabio Sozio e Paola Izzo, la sentenza, emessa nel novembre scorso, sarebbe illogica e contraddittoria sotto vari aspetti, tanto da preannunciare nell’atto di appello la richiesta di escutere diciotto testimoni, tutti già sentiti in primo grado, dagli ufficiali di polizia giudiziaria che intervennero ai vicini di casa, dal medico legale ai consulenti tecnici, con l’obiettivo di fornire alla Corte un quadro chiaro con prove idonee, peraltro già presentate in primo grado, a condannare la Casa per non aver fatto nulla per difendere i propri figli. Non è improbabile che la Procura, quando ci sarà il processo d’appello, possa chiedere una condanna elevata, se non proprio l’ergastolo, per la Casa. Nell’atto di appello, i due pubblici ministeri ripercorrono la tragica mattina di domenica 27 gennaio 2019, quando nella casa di via Marconi a Cardito, Badre uccise letteralmente di botte il piccolo Giuseppe, e percosse gravemente anche la sorellina Noemi, che fu salvata solo per l’intervento dei sanitari, avvenuto molte ore dopo e su richiesta del fratello di Badre. I due pm scrivono di “martirio dei due bambini”, e di madre inerme di fronte alle violenze commesse dal compagno, anzi attiva nel cercare di nascondere le tracce del “martirio”. Badre, è emerso dal primo grado, se la prese con i piccoli, massacrandoli con pugni, calci e bastonate, perché ridevano e giocavano nella loro stanzetta, e lui non poteva dormire. In primo grado i giudici hanno creduto alla versione raccontata dalla Casa, dando credito anche alle parole pronunciate durante l’incidente probatorio dalla piccola Noemi, secondo cui la madre, durante le violenze, avrebbe detto a Badre: “Che fai, vedi quanto sangue”, e quest’ultimo l’avrebbe poi spinta. La Casa, dal canto suo, ha riferito di aver urlato e tentato di fare qualcosa, ma che il compagno reagì dandole un morso sul collo e tirandole i capelli; circostanze queste, che la Procura ha sempre negato, basandosi su dati oggettivi come le intercettazioni dello stesso Badre dopo l’arresto, testimonianze e altri elementi prodotti in giudizio. Il morso, in particolare, le fu dato dal convivente prima delle violenze verso i bimbi, e delle urla verso il compagno non vi sarebbe stata traccia.