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Napoli – Sarebbe durato poco, forse neppure esistito, il clan degli Amato Pagano di Secondigliano, senza Raffaele Imperiale, il narcotrafficante campano di caratura internazionale arrestato agli inizi dello scorso agosto a Dubai dove si trova tuttora e per il quale è stata inoltrata una richiesta di estradizione. Per la Procura di Napoli, infatti, Imperiale, con il suo socio Mario Cerrone, anche lui destinatario di un contestuale mandato di arresto in carcere per associazione a delinquere di stampo camorristico, non rappresenta un “semplice fornitore di droga” ma “uno dei pilastri su cui poggia tutta l’organizzazione camorristica degli ‘scissionisti’ del clan Di Lauro”.
Nelle scorse settimane il Tribunale del Riesame si è pronunciato contro la revoca della misura cautelare emessa nei confronti di Cerrone, persona estremamente vicina a Raffaele Imperiale (il quale fece ritrovare anche due quadri di Van Gogh rubati che aveva acquistato, ndr), che, gli Amato Pagano, chiamano confidenzialmente “il compare”, sebbene sia conosciuto anche con i soprannomi di “Lelluccio di Ponte Persica” o “Lello Ferrarelle”.
Le indagini a carico de “il compare” hanno consentito di accostare il suo a quelli criminali ritenuti a capo di cartelli della droga coinvolti nella cosiddetta “Mocro War” in Olanda e Belgio, che ha provocato oltre 40 morti: si tratta di Taghi Ridouan e di Riquelme Vega, il primo in attesa di processo, il secondo preso in Cile nel 2017 ed estradato in Olanda dove è stato di recente condannato. Elementi che sarebbero riconducibili a una organizzazione con caratteristiche mafiose composta da criminali di varie nazionalità tutti con base negli Emirati Arabi Uniti.

A parlare di Raffaele Imperiale come narcotrafficante capace di sostenere l’esistenza non solo degli Amato Pagano ma anche di altri clan di Secondigliano, sono diversi collaboratori di giustizia.
Uno, in particolare, Carmine Cerrato, oltre a ricordare la segretezza con la quale venivano trattati i rapporti con la camorra, agli inquirenti riferisce un aneddoto che vide Imperiale protagonista di grave incidente stradale, in cui ci scappò pure il morto, avvenuto mentre guidava una costosissima Ferrari e nel quale venne coinvolto anche un altro ‘suo’ uomo, alla guida di una Lamborghini: “non mostrava disappunto sul fatto che due autovetture di pregio fossero andate distrutte in quanto aveva molti soldi”, disse agli investigatori il “pentito”, mandato a fare il caffè poco prima che il discorso entrasse nel vivo. L’incontro di cui riferisce Cerrato si tenne in una villa di Marbella, e c’erano i boss Cesare Pagano e Raffaele Amato, oltre che, ovviamente, Imperiale, tornato con buone notizie circa le possibilità di fare investimenti a Dubai.
Il suo ruolo nell’organizzazione criminale, emerge ancora dalle indagini, è sempre stato tenuto “segreto” dal clan Amato Pagano, per metterlo al sicuro da eventuali collaboratori di giustizia.
E per “blindare” le comunicazioni con i broker della droga ai quali faceva arrivare fiumi di stupefacente, Imperiale soleva fornire dei particolari “Blackberry” a un suo uomo che, a sua volta, li distribuiva agli interessati: telefoni cellulari su cui aveva fatto installare un programma dedicato di criptografia poi soppiantato da una nuova versione modificata, di origine russa.