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Dipendenti pubblici pizzicati a sbirciare nei terminali dell’amministrazione, non per doveri d’ufficio, ma a caccia di informazioni utili a terzi. Sono vicende non infrequenti, rilevate dalla Corte dei Conti, emerse oggi all’inaugurazione dell’anno giudiziario in Campania.

“Un fenomeno illecito segnalato dall’Inps – si legge nella relazione del procuratore regionale facente funzioni, Gianluca Braghòè quello dei dipendenti di vari uffici territoriali che svolgevano attività di interrogazione dei sistemi informatici dell’istituto, in orario di servizio, per finalità e contribuenti non afferenti alle proprie attività di ufficio (probabilmente a favore di patronati privati), che ha condotto all’emissione di otto citazioni in giudizio nei confronti di altrettanti dipendenti”.

Gli impiegati individuati, sono ritenuti “responsabili degli accessi abusivi per un valore risarcitorio complessivo di euro 114.673,33, comprendendo il calcolo del danno sia la quota della retribuzione da loro percepita in violazione del nesso sinallagmatico e sia il danno derivante dal disservizio arrecato all’ente”.

A prescindere dagli inevitabili risvolti penali, la magistratura contabile sottolinea che “un fenomeno analogo si è registrato anche presso l’ufficio della Conservatoria immobiliare di S. Maria Capua Vetere, ove è stato accertato che alcuni dipendenti hanno effettuato ispezioni ipotecarie in modalità “uso ufficio” o “esente”, senza che ne ricorressero i presupposti”.

Gli accessi, considerati illeciti, sarebbero avvenuti “in favore di alcuni utenti (avvocati, collaboratori di studi notarili, titolari di agenzia di disbrigo pratiche, etc.) che in tal modo venivano esonerati dal pagamento dell’importo previsto dalle tabelle delle tasse ipotecarie”. Inoltre, “al fine di far risultare regolari gli accessi “uso ufficio” – spiega la relazione -, i dipendenti infedeli dissimulavano la richiesta di visure come provenienti dalla Guardia di Finanza (allegando un’istanza in fotocopia priva di numero protocollo e data)”. Per tale “servigio, i dipendenti infedeli richiedevano quale contropartita una somma di denaro pari a circa la metà dell’importo stabilito nelle tabelle previste per legge”.

Il danno contestato dalla Procura “nei confronti di un ex dipendente convenuto in giudizio, per altri soggetti vi è separata istruttoria, è pari a euro 74.884,40“.

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