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Napoli – Da capo ultras e mano della camorra a pentito e collaboratore di Giustizia, è questa la storia di “Genny ’a carogna”, oggi semplicemente Gennaro De Tommaso.

È il 2017 quando Genny viene fermato e arrestato dalle forze dell’ordine con l’accusa di traffico di sostanze stupefacenti e riceve una condanna a vent’anni di reclusione. Ma il carcere è un luogo angusto che sta stretto alla “Carogna” che decide di rabbonirsi e di collaborare con lo Stato. In cambio riceverà un vistoso sconto di pena, ma questo Genny lo scopre solamente ieri, a tre anni dalle confessioni.

Dai vent’anni iniziali infatti, lo sconto di pena è di ben 13 anni, e il tempo da scontare in carcere diminuisce a soli 7 anni. Una concessione messa in atto dallo Stato per tutti coloro che decidono di abbandonare la vecchia vita camorristica e collaborano con la giustizia e alle indagini, proprio come lui.

Noto anche per gli avvenimenti del 3 maggio 2014, quando dopo la morte di Ciro Esposito ad opera di un tifoso giallorosso, fu lui a decidere se e quando la finale di Coppa Italia con la Roma si sarebbe potuta giocare, pare che il boss abbia cambiato attitudini.

Ieri pomeriggio, la corte di appello, oltre che vagliare il caso di Gennaro De Tommaso, ha confermato alcune condanne per sedici suoi presunti ex soci in affari:

Alessandro Caldiero, 5 anni a e 1 mese di reclusione; Gennaro Cocozza, 4 anni e 9 mesi; Marco Contardo, 5 anni e 5 mesi; Giuseppe Conte, 2 anni; Mario Cossentino, 4 anni; Pasquale D’Amore, 4 anni e 9 mesi; Gaetano De Tommaso, 12 anni e 4 mesi; Mariano Esposito, 9 anni; Vincenzo Gravina, 5 anni e 4 mesi; Francesco Guarino, 4 anni e 5 mesi; Francesco Liccardi, 9 anni e 9 mesi; Lucio Migliaccio, 9 anni; Giovanni Orabona, 19 anni e 10 mesi; Salvatore Scialò, 4 anni e 9 mesi, Guido Sorge, 5 anni e 5 mesi.