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Finalmente lo spettacolo dal carcere attraverso video sulla piattaforma TikTok può essere interrotto con una condanna esemplare come è accaduto nei confronti del detenuto di Secondigliano-Napoli sorpreso con il telefonino e condannato a 13 mesi di reclusione con rito abbreviato”. Così Aldo Di Giacomo, segretario generale del S.P.P. per il quale “dopo le continue denunce del sindacato, interpretando la profonda indignazione delle vittime di criminali, l’auspicio è che adesso la mano dura si faccia sentire perché non è più possibile che la cella del carcere diventi la location preferita per fare “spettacolo”. Vorrei ricordare in proposito il video diffuso sulla piattaforma TikTok da Poggioreale-Napoli con detenuti che mangiano un gelato e mostrano uno spinello. Uno dei tanti. Sui social c’è un’ampia possibilità di scegliere cosa vedere, secondo vere e proprie sezioni di scelta, tra “carcerati che fanno i TikTok”, “video dei carcerati”, “detenuti in carcere fanno video” e persino “diretta dal carcere”.
Qualcuno che manifesta sorpresa – aggiunge – ha già dimenticato i detenuti- neomelodici che da Poggioreale hanno girato e trasmesso un video-musicale, i video su Tik Tok realizzati dal capo clan pugliese agli arresti domiciliari che con musica neomelodica di sottofondo, in compagnia di altre persone, ha ostentato ingenti quantitativi di denaro in contanti, il “noto” videoclip del rap “Baby Gang” girato a San Vittore, per fermarci ai casi più conosciuti di spettacoli offerti al pubblico. La detenzione in cella è dunque diventata soggetto preferito per usare i social, la location per girare persino video-musicali. Un fenomeno che ha assunto da qualche tempo l’effetto emulazione specie tra i giovani detenuti, secondo una convinzione molto diffusa di restare impuniti. Ma ciò che più ci sconcerta – continua Di Giacomoè che solo in queste occasioni i media scoprono l’acqua calda e cioè che nelle carceri sono diffusi i telefonini anche quelli più tecnologici finiti persino nelle mani dei giovanissimi oltre che di boss, capo clan ed affiliati che hanno facile accesso ai social. Mettiamoci semplicemente nei panni di chi ha subito l’uccisione di una figlia, una violenza, una rapina che assiste allo spettacolo per rendersi conto del sentimento di forte indignazione e più che legittima rabbia che serpeggia. Ma attenzione: se per i giovanissimi è “tendenza”, come sostengono magistrati anti mafia in trincea nella lotta alle mafie, l’uso dei social è invece dimostrazione di potere e contiene persino messaggi di comando inviati all’esterno. Noi lo stiamo denunciando da tempo: dalle carceri l’uso disinvolto del telefonino non deve essere consentito per sbeffeggiare le famiglie delle vittime e, contemporaneamente, lo Stato”. È il segno più degradante del “buonismo” diffuso nei confronti dei detenuti ai quali è concesso persino di divertirsi con video-sceneggiate, video di musica rap e filmati sui social”.