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NAPOLI – Aldo Cennamo: classe 1946, assessore con Maurizio Valenzi, consigliere regionale, tre volte parlamentare (fino al 2006). Dal Pci al Pd, con l’ultimo incarico da commissario dem ad Avellino.
“Da luglio 2019 a maggio 2021. Quando, dopo aver accettato per spirito di servizio, ho lasciato per motivi di salute”.
Ora come sta?
“Non potrei permettermi di fumare”.
In questo periodo, però, non frequenta le fumose stanze del partito.
“In questo momento ne sono un po’ distaccato”.
Meglio qui: all’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici.
“Con Gerardo (Marotta, ndr) ho avuto sempre un rapporto di affetto, stima e collaborazione. Dal 2013 ancora più stringente”.
Nel frattempo è stato ad Avellino. Ed ora si attende proprio l’esito del congresso del Pd di Avel…
“Non voglio parlare di Avellino”.
Ma lo dicevo perché, dopo il congresso di Avellino, c’è chi aspetta le dimissioni del segretario regionale del Pd, Leo Annunziata.
“Non parliamo delle persone”.
Parliamo dei due Pd: quello che sta con De Luca e quello che sta con gli intellettuali che hanno scritto a Letta dicendo che il Governatore è un “odiatore seriale”.
“Parliamo del Pd”.
Ma chi ha ragione, i deluchiani o gli antideluchiani?
“Questa è una semplificazione. Non si può dare ragione o torto all’una o all’altra parte”.
De Luca ha detto che c’è la guerra e chi lo critica ha tempo da perdere.
“Quando si parla di De Luca si tende ad esaminare gli effetti, non le cause: De Luca è un epifenomeno”.
Un sintomo collaterale.
“Di un fenomeno generale che non riguarda la sua persona, ma la politica”.
E con essa?
“La funzione dei partiti, il ruolo delle istituzioni”.
Questa è una storia vecchia.
“Infatti, in Italia, ci troviamo a vivere una fase di transizione che dura ormai da trent’anni”.
Da dove veniamo? Verso dove andiamo?
“Diciamo che veniamo dal 1994: con Berlusconi e il suo partito personale”.
Berlusconi è stato solo il primo.
“Infatti, sempre all’epoca, l’elezione diretta dei sindaci aprì la stagione dei sindaci. E, nel 2001, con la riforma del Titolo V della Costituzione, col trasferimento di nuovi poteri alle Regioni…”.
…il patatrac definitivo.
“I partiti non sono riusciti a darsi nè un assetto organizzativo vero nè nuove politiche. Così, è evidente che chi ha svolto o svolge una funzione pubblica si è sovrapposto e si sovrappone a loro”.
Risultato?
“I ruoli riconosciuti in politica oggi, in contrapposizione con la debolezza dei partiti, sono solo quelli istituzionali: del presidente di una Regione piuttosto che di un sindaco”.
Da qui Delucalandia.
“Da qui il problema De Luca, il problema Emiliano, il problema Fontana. Il partito personale è stato finanche teorizzato”.
De Luca fa solo più rumore.
“De Luca ci mette il suo”.
Tanto di suo.
“Ha un carattere particolare, ha un sarcasmo che gli fa accentuare le cose. Ma il problema è politico”.
E quindi?
“Nessuno può immaginare che le risposte da dare, a partire da quella sull’identità dei partiti, siano da ricercare solo con nuove formule organizzative, come fa chi vede nel tesseramento online quasi la panacea”.
Rimangono dei problemi.
“Certo che rimangono dei problemi. Perché il tema non è organizzativistico. Ma politico: qual è la funzione che oggi devono svolgere i partiti? Se non si risponde a questo, è evidente che chi gestisce il potere prende sempre il sopravvento”.
Ma come fanno i partiti a ricostruire la propria identità?
“Secondo me, applicando alcune regole”.
La prima.
“La regola della coerenza: le azioni di un partito devono essere coerenti alle idee e ai valori cui si ispira”.
Oggi non lo sono?
“Non mi sembra”.
I partiti allora cosa sono oggi?
“Una sommatoria di correnti con i loro capi che, detenendo un pacchetto di tessere, esercitano la loro funzione di potere”.
Non è stato sempre così?
“No. Anzi, io non sono un nostalgico. Ma oggi, per costruire una nuova identità dei partiti, bisognerebbe avere la capacità anche di guardare al passato”.
Si stava meglio quando…
“Ma no, non è questo il punto. Naturalmente, bisogna saper guardare al passato ma intervenendo sui problemi dell’oggi. E in una proiezione dinamica, futura. Su questo si deve lanciare una sfida politica”.
Cosa c’è in gioco?
“Se non lo si fa, non nascerà mai una classe dirigente autonoma, forte dei propri valori, in grado di restituire l’autonomia politica ai partiti”.
Un’altra regola per ricostruire i partiti.
“Darsi un linguaggio nuovo, comprensibile. Affinchè lo stesso agire politico sia comprensibile. Si occupi, vale a dire, dei problemi reali delle persone che, ad oggi, non a caso, sono preda dei populismi e dei sovranismi”.
Lo chiamano Bad Vlad.
“Ciò che sta accadendo in Russia ci dice ancora più chiaramente quanto abbiamo bisogno di politica”.
C’è chi ha rimandato a una connessione sentimentale interrotta.
“Ricomporre questa frattura non è facile. Ma non lo si può certo fare vivendo in un presente permanente, come diceva Hobsbawm nel “Secolo breve”. Per questo, bisogna fare riferimento alla memoria, bisogna guardare al presente, ma soprattutto bisogna proiettarsi al futuro. Rimanendo schiacciati sul presente, del resto, sono più bravi i populisti: per loro, la risposta è sempre semplice e veloce. Tutto e subito: un’illusione”.
E la sinistra?
“Non può non coniugare libertà, democrazia e uguaglianza. Altrimenti passano politiche economiste che non guardano ai più deboli. Questo deve contraddistinguere una moderna forza riformatrice”.
Tra un anno si va a votare.
“E non abbiamo tempo da perdere: la destra è forte, pronta a dare l’assalto finale. La sinistra deve fare i conti con le proprie divisioni”.
Non mancano mai.
“Ma attorno alle grandi scelte, ai grandi valori di fondo, bisogna saper costruire l’unità di chi si richiama ai valori della sinistra storica: la polverizzazione non consente di esprimerli al meglio”.
A Napoli, però, c’è solo il centrosinistra.
“Ma c’è anche la destra. Non sempre trova interpreti, ma c’è ancora”.
Fatto sta che il centrodestra vede Palazzo San Giacomo in cartolina dalla fine della Prima Repubblica: un problema per il sistema democratico e il miglior funzionamento della città.
“Certo, servono entrambe le gambe del sistema democratico. Serve una maggioranza e un’opposizione. Altrimenti, si rischia di tornare a Berlinguer che,a un certo punto, dopo i 40 anni di conventio ad excludendum della Dc, dovette sollevare la questione morale”.
Questa storia, con tutti i pericoli connessi, si ripete a Napoli e in Campania: Manfredi e De Luca sono sostanzialmente senza opposizione.
“Proprio perché, come dicevamo prima, i partiti hanno perso autonomia. Le classi dirigenti, oggi, si costruiscono solo attorno a chi è a capo delle istituzioni”.
Ma De Luca governa bene?
“Ha ereditato una situazione non facile dopo i 5 anni di centrodestra a Palazzo Santa Lucia: la sanità era commissariata”.
Ora stiamo meglio? Trova che un malato campano sia maggiormente garantito?
“Finito il commissariamento, è arrivata la pandemia. Oggi come oggi siamo tutti meno garantiti rispetto a due anni fa”.
Una volta la pandemia, ora la guerra: ma non ci si può nascondere per sempre dietro ai lanciafiamme.
“Dappertutto, con l’emergenza, si è vissuta una fase di rafforzamento del comandante in capo, per dire così. Ma ora, in effetti, è tempo di rilanciare anche la sanità con una diversa apertura della Regione rispetto alle forze sociali e sindacali”.
Il sindaco Gaetano Manfredi: un giudizio a 5 mesi dalla vittoria elettorale.
“Arriva dopo 10 anni drammatici, perduti. Deve ricominciare daccapo. E non è una cosa facile. Richiede tempo, anche se i cittadini vogliono risposte immediate”.
Quanto può durare una luna di miele?
“E’ una corsa contro il tempo. Deve cercare di far funzionare il minimo esistente, anche se è del tutto insufficiente. E, contestualmente, deve avviare la fase nuova”.
Manfredi il pianificatore.
“Certo. Ma bisogna appellarsi affinchè ci sia da parte di tutti un livello più alto di collaborazione: quante volte si deposita l’immondizia nell’orario sbagliato? Quanti non pagano le tasse? Bisogna sentire la città come propria”.
Ma Napoli l’ha mai avuto questo spirito civico?
“Sì”.
All’epoca della giunta di cui faceva parte, con Valenzi?
“Prima ancora, nel ‘43: è stata la prima grande città europea a cacciare i nazisti e i fascisti. Più senso civico, orgoglio di questo? E poi anche con Valenzi. Anche con Bassolino. Ma sono state fiammate”.
Fuochi di paglia.
“Per questo bisogna saper accendere il fuoco di un amore più duraturo. Dopo tutto, rimaniamo una città straordinaria, unica: anche chi usa la città come una carta sporca, parafrasando Pino Daniele, deve essere indotto a salvaguardare il nostro patrimonio”.
Ma c’è una contrapposizione di visioni tra De Luca e Manfredi?
“Bisogna uscire fuori dallo schema della contrapposizione. La Regione deve riprendere il suo ruolo di ente sovracomunale che si dedica alla grande programmazione. E i Comuni, non solo quello di Napoli, devono fare il loro. Mi auguro vivamente con una visione metropolitana dei problemi”.
Questa è una sua vecchia idea.
“Napoli e provincia rappresentano il 9% del territorio campano. In questo 9% vive oltre la metà dei cittadini della Campania. Per molti anni si è lavorato con un’idea napolicentrica: sviluppiamo le ricchezze di Napoli, si è detto e fatto, perché questo indurrà anche le altre città della provincia a svilupparsi. E’ ora di cambiare strategia”.
Manfredi vuole una città policentrica. E dice, ad esempio, a proposito di area metropolitana, che Napoli non può continuare a considerare la provincia come la sua discarica.
“Napoli non è un faro con attorno il deserto. C’è la città costiera, quella vesuviana, nolana, flegrea. Ognuna con loro caratteristiche peculiari e una storia millenaria alle spalle”.
Napoli è tra le prime dieci aree metropolitane d’Europa.
“Napoli città deve essere il fulcro di quest’area. Che però, estendendosi in tutto per appena il 9% del territorio campano, non può non essere concepita anche in espansione e in collegamento rispetto al rimanente 91%”.
Dieci anni fa diceva le stessissime cose.
“Nel frattempo, non si è perseguita questa visione. Solo agli inizi dei ’90 stava prendendo piede l’idea di una nuova Provincia sull’asse Nola-Castellammare. Tant’è che il problema è ancora oggi avvertito”.
Passano gli anni.
“Ed è vero che Napoli apre i cuori, ma i cittadini senza servizi si sentono sudditi. E la città non può vivere la sua grandezza schiacciando altre identità”.