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Sono quattro militanti di Casapound ad essere accusati del violento pestaggio di un 42enne al Vomero, e di avergli rapinato un giubbotto con la toppa “antifa”. Ma il gip del tribunale di Napoli, per gli indagati, esclude l’aggravante della discriminazione, o dell’agevolazione di movimenti votati a tali scopi. In tre sono finiti ai domiciliari, in esecuzione della misura cautelare. Il 34enne Vittorio Acuto, definito “elemento di spicco” di CasaPound; Paolo Primerano, 39 anni, ex guardia giurata, dipendente del ministero dei Beni culturali in servizio presso la Reggia di Caserta; Taras Buha, 28 anni, collaboratore del console ucraino a Napoli, ritenuto dagli investigatori legato a gruppi neofascisti ucraini. Divieto di dimora nella provincia di Napoli, invece, per Roberto Acuto, gemello di Vittorio e responsabile di CasaPound a Napoli.

Ai primi tre vengono contestati la rapina e le lesioni, tutte aggravate, a Buha anche il porto abusivo di arma da taglio. Avrebbero preso la vittima a calci e pugni, rompendogli gli occhiali, e lasciandolo col volto tumefatto. Durante le botte, avrebbero tenuto fermo un suo amico, testimone della vicenda, minacciato con un coltello. Roberto Acuto, viceversa, risponde di ricettazione, non dell’azione violenta: si sarebbe impossessato del giubbotto rapinato alla vittima. Tuttavia l’indagine della Digos di Napoli, coordinata dal pm Fabrizio Vanorio, ruota intorno alle motivazioni contestate agli indagati. E su quanto c’entri l’ideologia di estrema destra, su ciò che sarebbe avvenuto la sera dello scorso 12 ottobre, all’uscita di un pub di San Martino. Sul punto, si registra una divergenza tra la procura e il gip Linda Comella. Per il giudice, infatti, difetterebbe “la finalità discriminatoria ovvero quella connessa ad odio di tipo etnico, nazionale, razziale o religioso”. Mancherebbe pure la finalità di agevolare associazioni “aventi come loro scopi queste finalità”. Questo anche se sarebbe “vero che il fatto posto in essere è espressione di una avversione ideologico-politica” per via del “logo del collettivo denominato “Azione Antifascista” sul giubbino della vittima”. Tuttavia, “nel concreto” sarebbe una “azione punitiva rivolta ad un singolo”, preso “di mira non già per la sua militanza a gruppi o a collettivi contrapposti, ma per il solo fatto” di “aderire ad ideologie antifasciste”.

Il gip ricorda, tra l’altro, come l’aggredito dichiari di non far parte di movimenti politici. “Il pestaggio, in altre parole – sostiene il giudice nell’ordinanza -, non era strumentale (…) ad operazioni discriminatorie”, pur se “caratterizzato da avversione violenta ispirata a ragioni politiche ed ideologiche”. Ma queste ragioni “tuttavia, sono avulse dalla” aggravante di cui si dibatte. Il giudice, allo stato, non ritiene dimostrata neppure l’agevolazione ad organizzazioni “che perseguono le finalità prese in considerazione”. Non basterebbe, di fatti, la “mera adesione” a Casapound, nel cui statuto “peraltro non sono indicate le finalità in disamina”. Insomma, si tratterebbe di “mero pestaggio isolato”. E nemmeno risulta “che l’azione sia stata oggetto di rivendicazione” o “sia avvenuta in contesti chiaramente riconducibili all’operato organizzato dei militanti di Casapound”.

Nonostante ciò, il movente del raid sarebbe sintomatico di “personalità allarmanti”. Tutti gli indagati sono attivisti della sezione “Berta” di CasaPound, in via Foria, dove sono state eseguite perquisizioni. E benché incensurati, gli indagati “sono persone già conosciute dagli investigatori in ragione di pregresse attività relative” alla politica. Nessuna traccia, al momento, del giubbotto sfilato al 42enne. A casa di Primerano, a Roma, la Digos ha però sequestrato una cartucciera di un mitragliatore da guerra contenente 55 bossoli.