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NAPOLI – C’è chi ci crede. La politica non può vivere solo di nomine, poltrone e stipendi. Tantomeno di carte bollate e commissariamenti. Ma, se si vogliono dare risposte concrete ai cittadini, deve farlo anche di riforme.

A proposito di Municipalità, qualche giorno fa, lo disse chiaro Pasquale Esposito, consigliere Pd nonchè presidente della commissione di Palazzo San Giacomo che si occupa di decentramento.

Noi – era il succo del suo ragionamento – possiamo fare tutte le nomine che vogliamo alle Municipalità, possiamo accapigliarci quanto vogliamo. E possiamo trovare anche l’accordo per far nominare i 10 vicepresidenti e i 30 assessori delle giunte di quartiere. Oppure le può fare anche il Difensore Civico con il commissario ad acta. Ma il tema è un altro: per far fare loro cosa? Così come sono strutturate, le Municipalità non servono a nulla. Tanto più se non hanno risorse adeguate. E, a tal proposito, una vera prova del nove sarà costituita dal primo bilancio dell’era Manfredi che tra poco voteremo”.

E insomma: ad oggi, le Municipalità di Napoli sono paragonabili ad anime pezzentelle, in sospeso tra Inferno e Paradiso che, più che nomine a caccia di stipendi da 1400 euro in su (presto saranno rivisti al rialzo), cercano riforme per essere condotte alla salvezza.

Tant’è che, in campagna elettorale, Gaetano Manfredi, nel suo programma, aveva ben evidenziato l’importanza di sottrarle al Purgatorio cui sono costrette.

E lo scorso febbraio, nella Sala dei Baroni, si andò a costituire una commissione speciale paritetica (vale a dire con maggioranza e opposizioni ugualmente rappresentante) proprio con l’obiettivo di costruire per loro la via per il Paradiso.

A capo di questa commissione c’è il consigliere Sergio D’Angelo (Napoli Solidale). Ed è parlando con lui che ci si accorge come la via non per il Paradiso ma per l’Inferno possa essere lastricata di buone intenzioni.

“Da febbraio, ci siamo riuniti due volte. Ma è stato un confronto proficuo“, giura.

Quindi crede che ci possa essere una maggioranza attorno alla stessa idea di riforma delle Municipaltà?

Confido che ci sia. Anche perchè, se non le rilanciamo, la prossima volta, a votare, anzichè il 50% dei napoletani, ci andrà il 30%”.

No Municipalità, no party.

Il cittadino medio riconosce il consigliere di Municipalità, il presidente del suo quartiere più che noi consiglieri comunali. E’ a loro che va a confidare i suoi problemi. E’ a loro che chiede risposte nella sua vita quotidiana. Per questo dobbiamo sanare il corto circuito che si è venuto a creare: io ho fatto questa scommessa”.

Non fiori, ma opere di bene. Anzi: soldi.

Sì, ma io non credo nemmeno che il prossimo bilancio possa essere la panacea di tutti i mali come si va dicendo. Io non mi gioco tutto su questo bilancio perchè inevitabilmente risentirà dei ritardi accumulati negli ultimi anni”.

Meglio allora puntare sull’idea di riforma da concretizzare.

Bisogna avere il coraggio di cedere quote di potere reale alle istituzioni dei quartieri. Si dirà: ma nelle Municipalità non ci sono premi Nobel capaci di gestire davvero cose importanti. Allora, dico io: per far crescere una nuova classe dirigente, iniziamo con una sperimentazione. Deleghiamo loro solo tre tipi di mansioni: iniziamo con la manutenzione delle scuole, la programmazione delle politiche sociali e l’organizzazione di alcuni servizi come quello della raccolta dei rifiuti. Sono cose che possono funzionare meglio solo con una governance davvero delocalizzata. Del resto, ogni quartiere ha la sua peculiarità soprattutto in questi campi. Ad esempio, il Vomero ha più bisogno di politiche per gli anziani rispetto a un quartiere giovane quale Scampia”.

Rimane il nodo degli appalti. Chi li gestisce?

Sempre Palazzo San Giacomo, il Comune. Ma non in maniera centralistica, bensì facendo da stazione unica appaltante per i 10 consigli municipali”.