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Il terzo scudetto del Napoli rischia seriamente di essere un trionfo dimezzato: se la scaramanzia impone ancora di non dar nulla per scontato, è comunque il caso di fare qualche riflessione sulla situazione della tifoseria azzurra, un tempo la più calda d’Italia, oggi paradossalmente accusata di scarso sostegno alla squadra da parte di chi, in questi ultimi anni, ha avallato, incoraggiato e applaudito tutte le misure che hanno ridotto al quasi silenzio gli spalti dedicati a Diego Armando Maradona.
 
Lacrime di coccodrillo: sorvoleremo su chi in queste ore si lascia andare addirittura a insulti e volgarità nei confronti dei tifosi, scatenandone la prevedibile quanto sbagliata e controproducente reazione. Quello che invece ci fa male, ci addolora, è constatare che chi ha seminato vento, si stupisca di raccogliere tempesta, e cerchi i colpevoli di questa crisi del sostegno al Maradona ovunque tranne dove li troverebbe con facilità: guardandosi allo specchio.
 
Il concetto di “stadio teatro”, dove si sta seduti e in silenzio ad assistere allo spettacolo, è stato introdotto a Napoli dal presidente Aurelio De Laurentiis, che più volte ha ribadito la sua posizione riguardo ai cosiddetti “gruppi organizzati” del tifo, che in tutti gli stadi del mondo trovano spazio nelle curve o nei settori popolari e costituiscono la miccia di innesco del sostegno alle proprie squadre: sono loro che inventano i cori che poi si propagano a tutti i settori, sono loro che organizzano (a Napoli è vietato) le coreografie spettacolari le cui immagini fanno il giro del mondo. Non entreremo nel campo degli scontri, dell’ordine pubblico: la violenza va sempre condannata, ma non è di questo che stiamo parlando.
 
Stavolta i gruppi organizzati sono stati accusati di non tifare abbastanza, ma nessuno ha voluto tentare di comprendere il motivo di quanto sta accadendo a Napoli e solo a Napoli, città dove si sta sperimentando scientificamente un modello di stadio assolutamente inedito, uno stadio dove è vietato introdurre le bandiere storiche, i megafoni, i tamburi. La partita contro la Lazio, inoltre, è stata caratterizzata dall’obbligo di possedere la tessera del tifoso anche per acquistare il biglietto per una gara casalinga: un altro inedito assoluto, che ha comportato, molto semplicemente, l’assenza dagli spalti di chi la tessera del tifoso non ce l’ha. Pretendere di ascoltare il sostegno alla squadra da parte di chi allo stadio non ci è potuto nemmeno entrare appare grottesco, se non addirittura comico.
 
Se poi facciamo un passo indietro, necessario per inquadrare il clima che c’è a Napoli nei confronti dei tifosi più appassionati, basta ricordare la tragicomica stagione delle multe a chi non rispettava il posto assegnato, pure nelle curve: secondo questa logica, un papà e il proprio figlio che avevano acquistato il biglietto in due momenti diversi avrebbero dovuto assistere alla partita separati. Una imposizione che per fortuna è stata superata, ma che ha prodotto una ulteriore mortificazione di una buona parte della tifoseria, quella che trova posto nelle curve. In sostanza: a Napoli, e solo a Napoli, si è lavorato per anni e anni, con dedizione meritevole di ben altra causa, per silenziare il tifo più caldo, che viene accusato, oggi, incredibilmente, con offese e parole roventi, di essersi silenziato.
 
Tutto ciò è avvenuto con la complicità o l’aperto sostegno della stampa cittadina, nel silenzio delle istituzioni e con la laboriosa, zelante, sistematica opera di repressione delle forme classiche del tifo messa in campo dalle forze dell’ordine. Vale la pena ripetere fino alla noia: sacrosanto perseguire violenti e scalmanati, paradossale impegnare uomini e mezzi per impedire l’ingresso allo stadio di megafoni, tamburi e vessilli. Divieto, tra l’altro, di cui noi, umili cronisti abituati a ragionare carte alla mano, non abbiamo trovato traccia né nelle indicazioni del Viminale, né dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive (organo del ministero dell’Interno), né all’albo pretorio del Comune di Napoli. In sostanza, un divieto fantasma ma fatto rigidamente rispettare, al quale però è impossibile, ad esempio, opporre un ricorso, in quanto nessuno saprebbe a chi indirizzarlo.
 
Chi si stupisce dello stadio (quasi) silenzioso di venerdì scorso, in buona sostanza, o non conosce i fatti, o è in malafede. Concludo con le parole di un tifoso del Napoli di 76 anni, che ha assistito nella sua vita a migliaia di partite, al San Paolo e in tutti gli stadi d’Italia, uno che al figlio piccolo, quando tornava dalle trasferte, portava sempre qualche caramella comprata in autogrill: “Che peccato, avevamo il tifo più bello del mondo”. Già, che peccato.