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Roma – Dolore, rabbia, sgomento. Tante sensazioni che restano ancora vive dopo la tragedia che ha colpito Mario Cerciello Rega, il Carabiniere di Somma Vesuviana ucciso in servizio da otto coltellate. Una storia che ha sconvolto tutti per la sua drammaticità. E non solo nel centro vesuviano nel quale tutti conoscevano questo 35enne buono e disponibile, ma nell’intera nazione. Lunedì alle 12 ci saranno i funerali e con tutta probabilità sarà l’intera nazione a fermarsi per rendere onore a un servitore dello Stato. Scelta la chiesa di Santa Croce, a Somma Vesuviana, quella dove Cerciello Rega si era sposato poco più di un mese fa. Annunciata la presenza del vicepremier Luigi Di Maio, del presidente della Camera, Roberto Fico e, forse, dell’altro vicepremier Matteo Salvini. Nel pomeriggio si è svolta una messa in suffragio alla chiesa Santissima Trinità dei Pellegrini, in piazza Farnese, alla quale hanno partecipato la moglie del Carabiniere, Maria Rosa, la madre Silvia e la sorella Lucia.

LA RICOSTRUZIONE E LA CONFESSIONE – “Sono stato io, l’ho ucciso io”. Poche parole per confessare un delitto che ha sconvolto l’intera nazione e una dinamica che va completamente ricostruita perchè ci sono dati che non combaciano tra di loro. Esiste una differenza tra quanto raccontato dal collega di Mario Cerciello Rega e la ricostruzione dei fatti data dal 19enne americano che si è assunto la responsabilità del fatto.

I due statunitensi, in vacanza-studio nella capitale, erano in cerca di droga ma hanno derubato un pusher del suo telefonino e del borsello, poi lo hanno chiamato per restituirgli tutto, ma il derubato, dopo aver denunciato il furto ma senza aver fatto menzione della droga, si è presentato all’appuntamento insieme ai carabinieri in borghese. Da qui ne è scattata una colluttazione nella quale ha avuto la peggio il vicebrigadiere di Somma Vesuviana, colpito a morte da otto coltellate. Questa è la dinamica ricostruita da magistrati inquirenti, ma come detto, ci sono delle zone d’ombra.

Ovviamente la versione dovrà essere verificata attentamente. Intanto il pusher è finito ai domiciliari, ha recuperato il borsello ma all’interno non sarebbe stata trovata alcuna traccia di sostanze stupefacenti, inoltre si sta costruendo un puzzle che non combacia completamente con quanto raccontato dal collega di Rega, Andrea Varriale, rimasto anch’egli ferito nella colluttazione. Quest’ultimo aveva parlato dell’intervento di due pattuglie, una del 112 e una in borghese. Inoltre dal primo identikit si parlava di un uomo probabilmente nordafricano, alto circa 1 metro e 80, vestito con un jeans e una camicia a scacchi e di un altro con un tatuaggio sul braccio destro, una descrizione che non si avvicina ai due ragazzi americani. I magistrati, allora, hanno cominciato ad andare a fondo ammettendo che probabilmente la descrizione dei fatti poteva essere diversa dall’effettiva dinamica. Le indagini sono partite a razzo e ben 12 sono state le persone ascoltate in caserma. Nel frattempo gli uomini dell’Arma, seguendo un’altra pista, si sono presentati all’Hotel Le Meridien Visconti dove alloggiavano i due americani e hanno perquisito la stanza, sequestrato lo zainetto e condotto i due in caserma per un primo interrogatorio, ma senza prende provvedimenti. La scena si è ripetuta poco dopo, quando sono state visionate le telecamere della zona, incrociato i tabulati e avvertito il consolato statunitense. I due hanno fatto ritorno in Caserma e questa volta sono stati interrogati alla presenza del procuratore. Alla fine è arrivata la confessione che ha sciolto il mistero.

L’ARRESTO – Nella nottata appena trascorsa, i Carabinieri del Comando Provinciale di Roma, hanno eseguito un decreto di fermo emesso dalla locale Procura della Repubblica, a carico dei due 19enni statunitensi, per il reato di omicidio aggravato in concorso e tentata estorsione. L’indagine, iniziata la notte precedente e proseguita incessantemente mediante la visione delle immagini di video sorveglianza nonché le escussioni testimoniali, ha consentito agli inquirenti del Nucleo Investigativo capitolino di individuare, i due responsabili dell’efferato delitto, all’interno di un albergo romano già pronti per lasciare il territorio nazionale. Nel corso della perquisizione della camera d’hotel, occupata dai due fermati, è stata rinvenuta e sequestrata l’arma del delitto, un coltello di notevoli dimensioni, abilmente nascosto dietro ad un pannello a sospensione del soffitto, nonché gli indumenti indossati durante la commissione del reato. I due, una volta in caserma, sono stati interrogati dai Carabinieri, sotto la direzione dei magistrati della Procura della Repubblica di Roma, difronte a prove schiaccianti, hanno confessato i loro addebiti. 

Le indagini hanno consentito di accertare che poco prima dell’omicidio, i due giovani statunitensi avevano sottratto uno zaino ad un cittadino italiano, minacciandolo, nel corso di una telefonata, di non restituirglielo se non dietro la corresponsione di 100 euro ed 1 grammo di cocaina. Successivamente, i Carabinieri, contattati dalla vittima che aveva denunciato l’accaduto, si sono presentati all’appuntamento per bloccare i malfattori, i quali, nonostante i militari si fossero qualificati quali appartenenti all’Arma non hanno esitato ad ingaggiare una colluttazione, culminata nel tragico ferimento mortale del Vice brigadiere. I fermati sono stati tradotti presso la casa circondariale di Roma Regina Coeli a disposizione dell’Autorità Giudiziaria.