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Avrebbero raccolto oltre sei milioni di euro da risparmiatori promuovendo senza alcuna autorizzazione fantomatici investimenti ad alto tasso di remunerazione in criptovalute e oro. È l’accusa a carico di cinque persone contestata dalla Procura della Repubblica di Napoli Nord che ha richiesto e ottenuto dal Gip l’emissione di cinque misure cautelari e il sequestro preventivo di beni per circa un milione di euro. 
 
Gli indagati rispondono di associazione a delinquere finalizzata all’abusivismo finanziario, al trasferimento fraudolento di valori e al riciclaggio. La banda, è emerso, aveva la sua base nel Napoletano, ma operava in tutta Italia attraverso un’efficiente rete di procacciatori. Dall’inchiesta realizzata dal Nucleo di Polizia Valutaria della Guardia di Finanza, è emerso che gli indagati, per conquistarsi la fiducia dei risparmiatori, avevano creato associazioni no profit completamente fittizie; erano poi i procacciatori, mediante servizi di messaggeria istantanea, a promuovere le donazioni e gli investimenti attraverso gruppi motivazionali con oltre 2200 risparmiatori. Decisivo per coinvolgere il maggior numero di persone era il passa-parola, che doveva raggiungere soprattutto conoscenti degli indagati. I procacciatori avvertivano che non era consentita la restituzione immediata del denaro dato all’associazione. In un’intercettazione, uno degli indagati è molto esplicito. “Il prossimo che insinua che non abbiamo soldi per pagare perché è talmente viziato da pretendere il pagamento immediato, ne subirà le conseguenze”. In alcuni casi,  le donazioni venivano sollecitate con la scusa che alcuni membri dell’associazione erano in difficoltà economiche. Alcuni messaggi che sono stati diffusi tra gli associati sono molto indicativi. “Oggi siamo venuti a conoscenza che un membro rischia di perdere la casa”; e ancora “c’è una famiglia nell’alluvione ha perso tutto e si trova senza neppure indumenti con due bambini. Ora siamo una grande famiglia”. Il capo dell’associazione, è emerso, avrebbe raggranellato quasi 680mila euro, cercando poi di evitare il sequestro dei beni attraverso un finto contratto preliminare di compravendita di un terreno per giustificare la perdita della caparra di 275mila euro attribuita falsamente all’originario proprietario.