- Pubblicità -
Tempo di lettura: 3 minuti

Fu ucciso perché ritenuto colpevole di aver insultato il clan Abbinante di Secondigliano, chiamando i suoi affiliati cafoni: per questo motivo Vincenzo Ardimento venne assassinato, il 25 giugno 1999, nel corso della prima faida di Scampia, in un agguato scattato in via Fratelli Cervi, nei pressi dei porticati del Lotto T/B.
Oggi, la Polizia di Stato, a distanza di oltre 24 anni, al termine di indagini della Squadra Mobile coordinate dalla Dda di Napoli (sostituto procuratore Lucio Giuliano), hanno notificato ad A.F., ritenuto legato, appunto, al clan Abbinante, un arresto in carcere in quanto gravemente indiziato di avere organizzato ed eseguito quell’omicidio che ora gli inquirenti gli contestano in forma aggravata dai futili motivi e dal metodo mafioso.
A confermare il movente, oltre alle indagini della Polizia di Stato, ci sono anche le dichiarazioni convergenti di diversi collaboratori di giustizia.

AGGIORNAMENTO – Si chiama Francesco Abbinante ed è il figlio di Raffaele Abbinante, braccio destro del capoclan Paolo Di Lauro, il 48enne a cui oggi la Squadra Mobile di Napoli ha notificato in carcere l’accusa di essere il mandante e l’esecutore materiale dell’omicidio di Vincenzo Ardimento, assassinato con cinque colpi esplosi con una pistola a tamburo, la sera del 25 giugno 1999, nel corso della prima faida di Scampia, in un agguato scattato in via Fratelli Cervi, nei pressi dei porticati del Lotto T/B. Ardimento, che era un ladro di motorini, morì durante il trasporto in ospedale a bordo di un’ambulanza. Le indagini sulla sua morte vennero archiviate qualche mese dopo, il 20 settembre 1999, per l’assenza di sviluppi. All’epoca Francesco Abbinante aveva appena 23 anni e insieme con lui sono finiti sotto indagine per questo fatto di sangue altre quattro persone (due quelle quali minorenni nel 1999). Furono le dichiarazioni rese da due collaboratori di giustizia a farle riaprire, il 23 dicembre 2021. Uno di questi rivelò, in un manoscritto, una scena che gli rimase impressa e a cui aveva assistito poco prima che si diffondesse la notizia dell’omicidio di Ardimento. Il pentito era in una sala ricreativa che si trovava in zona controllata dagli Abbinante: “Francesco Abbinante si fermò vicino al bancone… – scrive – vidi in lui quel volto indiavolato …prese un cocomero e con un coltello lungo 40 centimetri iniziò a inveire su quel povero cocomero… asserendo che ‘con i cafoni non si scherzava’“. Secondo quanto emerso dalle indagini, infatti, Ardimento venne assassinato per essersi permesso di definire gli Abbinantebuoni a nulla” e “cafoni“. Francesco Abbinante, spiegò ancora il collaboratore di giustizia, aveva vissuto la sua infanzia a Marano, città dell’hinterland di Napoli, prima di andare ad abitare a Scampia e la parola cafone suscitava in lui “una forma di complesso di inferiorità“.