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Napoli – Ultras non si diventa, si nasce. Ultras lo si è nella mente. Molto diffidenti, per natura, e scettici nei confronti del mondo che non sia quello a cui sono legati, hanno parlato di loro in un’intervista rilasciata a “Il Mattino”. Umberto e Antonio (nomi di fantasia) hanno raccontato il loro ‘mondo’ ma ad una condizione: “Scrivi solo quello che ti diciamo e non rendere nota la nostra identità. Mi raccomando, vieni senza fotografo”. L’appuntamento è in uno dei loro “covi” abituali, una pasticceria non lontana da via Toledo, nel cuore dei Quartieri Spagnoli“Quando partiamo – spiega Antonio – non siamo mai meno di 100/150, ma a seconda dell’importanza delle partite possiamo arrivare anche a trecento. Abbiamo tutti una regolare tessera del tifoso. E chi si avventura partendo senza avercela lo fa a rischio suo. Avere la mentalità significa una sola cosa: amare e rispettare la maglia del Napoli e non avere regole, se non quelle interne ai gruppi”. 

I due sono storici componenti del tifo duro della Curva A del San Paolo e seguono la loro squadra del cuore anche il trasferta. Appartenenza, difendere il proprio territorio, un ultras è disposto a dare tutto senza niente ricevere in cambio, non porge l’altra guancia, agisce sempre nell’interesse del gruppo di cui fa parte e in ogni sconfitta, per l’orgoglio della propria maglia, tifa a squarciagola come se non ci fosse un domani. Perché ultras lo si è nel bene e, soprattutto, nel male. “Io il 26 c’ero a Milano – prosegue Umberto ma non ero in Via Novara dove sono successi i bordelli. Quello che posso dire è che non c’era nessun appuntamento, nessun tifoso partito da Napoli aveva concordato sfide con gli interisti, queste sono sciocchezze che qualcuno sta mettendo in giro ad arte. Quel che posso dire è che noi siamo stati aggrediti, e chi ha organizzato tutto l’ha fatto in maniera scientifica. Incredibilmente in quella zona, che è a meno di due chilometri da San Siro, non c’era alcun servizio d’ordine. Niente polizia e carabinieri. Ecco perché quelli là hanno avuto gioco facile…”. Anarchici delle curve? “Se vuoi mettila così – risponde Antonio  – noi rispettiamo solo le nostre regole. La violenza? C’è chi dice che per noi l’odio per l’avversario sia una droga, e forse è vero. Siamo tutti cani sciolti”.

Prima di concludere l’intervista si ritorna a parlare degli scontri di Milano, “una macchia” difficile da cancellare: “Stamattina la polizia si è venuta a prendere un altro dei nostri ragazzi – commenta Umberto -. “Quello che è successo a Santo Stefano non passerà sotto silenzio. Ci saranno conseguenze”. “Interista ti buco a morte”, messaggio scritto a caratteri cubitali sul muro di un palazzo al corso Vittorio Emanuele. “Le cose non finiscono qua. E’ solo questione di tempo – minaccia Antonio -, perché difendere la maglia per noi è tutto. Noi difendiamo il Napoli e la città. Il territorio”.