- Pubblicità -
Tempo di lettura: 4 minuti

Cure e non carcere per Simone Isaia, il 32enne senza fissa dimora, accusato dell’incendio dell’opera ‘La Venere degli stracci’, del maestro Michelangelo Pistoletto, che era stata posta in piazza Municipio. A un mese esatto dal rogo, per chiedere che il giovane lasci il carcere di Poggioreale per essere curato in strutture adatte, si è tenuto oggi un sit-in proprio davanti ‘allo scheletro’ dell’opera. La manifestazione è stata organizzata da Iod edizioni, Pastorale carceraria della Chiesa di Napoli, associazione Liberi di volare, Chiesa evangelica libera di Casalnuovo, United Colors of Naples, Tribunale 138. “Simone a Poggioreale è in una situazione davvero deprimente e in cui sta peggiorando giorno dopo giorno – ha detto don Franco Esposito, direttore della Pastorale carceraria della Chiesa di Napoli – l’ho incontrato varie volte di cui l’ultima proprio ieri e credo che bisognerebbe al più presto affidarlo a una casa di accoglienza e di cura perché possa essere davvero rimesso in sesto e dare anche un suo contributo positivo”. Simone – come riferito dal parroco – a Poggioreale condivide la cella con altre sette persone.

Noi come Chiesa di Napoli – ha aggiunto – abbiamo dato la nostra disponibilità ad accogliere Simone nella casa d’accoglienza ‘Liberi di volare’ così come anche la Chiesa di Salerno ha dato la propria disponibilità. Simone è un ragazzo intelligente, capace, ma il suo disadattamento è dovuto all’emarginazione e all’essere messo da parte da questa società che nel momento in cui si commette uno sbaglio come unica risposta rinchiude le persone. L’unica vera opera d’arte da restaurare è la persona”.

Il carcere ha fallito la missione affidatagli dalla Costituzione: rieducazione e reinserimento. Il carcere è diventato una discarica sociale, è il ricettacolo di tutto quello che la società produce e al suo interno si vive una situazione davvero drammatica soprattutto ultimamente”. Lo ha detto don Franco Esposito, direttore della Pastorale carceraria della Chiesa di Napoli, in occasione del sit-in per chiedere che il clochard accusato dell’incendio della Venere degli stracci lasci il penitenziario di Poggioreale per essere affidato a strutture in grado di curarlo. Il sacerdote, nel sottolineare che nelle carceri ci sono “tantissimi senza tetto, gente dissociata dalla realtà e rifiutata dalla società”, ha affermato che “la risposta del carcere è solo un grosso inganno. La società crede di essere più sicura se queste persone vengono messe in carcere, ma in realtà il carcere non rieduca, non reinserisce, peggiora solo le situazioni e chi ne esce lo fa è peggiore di come era prima. È dunque arrivato il momento in cui dire che il carcere ha fallito”.
Secondo don Esposito è necessario “che si prenda atto del fallimento del carcere perché solo quando lo si farà allora verranno sostenute le misure alternative al carcere”. Don Esposito ha ricordato anche che a Napoli e a Salerno la Chiesa ha Case di accoglienza “che non ricevono alcun sostegno dallo Stato e che non vengono riconosciute come Case di accoglienza per detenuti adulti. Ciò rende la situazione davvero difficile.
Noi come Chiesa non pensiamo di sostituirci a nessuno – ha concluso – ma siamo chiamati ad essere un segno per dire a chi deve occuparsene di dare una vera e seria soluzione al problema e che è possibile fare diversamente dal carcere”.

Ha raccolto 5.085 firme e oltre 450 commenti la petizione in cui si chiede alle istituzioni che Simone Isaia, il clochard accusato di aver incendiato lo scorso 12 luglio la Venere degli stracci in piazza Municipio, venga curato e lasci il carcere. A promuovere l’iniziativa Iod Edizioni e l’associazione Liberi di volare della Pastorale carceraria della Chiesa di Napoli. “La petizione nasce dalla volontà di volere ristabilire un equilibrio tra quanto accaduto, che è grave, e il disagio mentale e sociale di Simone e di tanti giovani – ha spiegato Pasquale Testa, di Iod Edizioni, in occasione del sit-in in piazza Municipio – Abbiamo notato che nell’immediato, nei primi quindi giorni dopo l’incendio, l’opinione pubblica era molto arrabbiata rispetto alla figuraccia fatta dalla città di Napoli davanti al mondo intero ma questo ha fatto dimenticare la persona che c’era dietro al dramma, la sua condizione di vita, di povertà, di disagio mentale”. Secondo i numeri forniti, a Napoli ci sono ben 2mila persone, “soprattutto giovani”, che vivono per strada, senza dimora, senza avere da mangiare, senza i bisogni primari.
Vogliamo porre – ha concluso Testa – il tema dei senza tetto, dei giovani che in questa città, come in tutte le grandi città, possono trovarsi all’improvviso nel mondo degli invisibili e Simone è esempio di questa realtà”.