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Napoli – Una mano sul cuore e l’altra stretta alla manina di suo figlio. “Sindaco ci aiuti!”. Il fotogramma che riprende l’operaia napoletana Lucia Falco intenta a fermare il primo cittadino di Napoli per chiedere aiuto racconta al meglio la dignità e l’umanità del dramma degli operai Whirlpool di Napoli. Pochi secondi e due sguardi che riassumano prepotentemente gli oltre 500 giorni di battaglia degli operai napoletani.

Ieri all’assemblea indotta dai sindacati, nel giorno scelto dalla multinazionale statunitense per la cessazione dell’attività produttiva a Napoli Est, in fabbrica accorre – così come avevano chiesto i lavoratori – tutta la città di Napoli. A partire dal sindaco, Luigi De Magistris che dopo l’intervento nella sala assemblee si incammina verso l’uscita ma viene “fermato” da un’operaia.

Sindaco lei ci deve aiutare” spiega Lucia con una mano sul cuore, mentre con l’altra stringe la mano del  figlio di appena 5 anni. “Ha sempre manifestato con noi – spiega – ed ha presenziato oggi. E’ un gesto molto importante”. Però ora servono risposte concrete agli oltre 350 lavoratori della periferia orientale che con gli operai dell’indotto arrivano a circa mille famiglie che si vedono il proprio posto di lavoro negato, con l’aggravante dell’emergenza sanitaria corrente.

Come i suoi colleghi, oggi amareggiati ma non stanchi, Lucia non ci sta ad abbandonare la fabbrica dove è letteralmente cresciuta a suon di duro lavoro e sacrifici “non mi sono neanche più laureata – racconta – per venire a lavorare, mettendo da parte anche la vita sociale per fare gli straordinari”.

Gli stessi straordinari che hanno fatto del sito di Napoli Est un centro d’eccellenza nella produzione di lavatrici di alta gamma. Marchio di qualità attestato dalla stessa azienda americana. “Qui abbiamo brindato al milione di lavatrici, il nostro prodotto è un prodotto che vale”.

Lei, Lucia che è un operaia Whirlpool di seconda generazione, ha intrapreso le orme del padre che lavorava nello stabilimento di Ponticelli e con i suoi oltre 20 anni di attività ha costruito con la sua busta paga una famiglia. Ed oggi l’azienda gli ha girato le spalle. “Come se una mamma ci tradisse” tuona amareggiata.

Il messaggio degli operai nell’ultimo giorno di lavoro: “Non è un addio”

Oggi è anche lei una madre e porta addosso con se tutti i sacrifici per costruire insieme ai suoi figli un futuro su questo territorio, ma i dubbi e le perplessità si uniscono al timore e le tensioni del momento.
Domani io come mangio, come sorride mio figlio – chiede Lucia, a nome di tutti i lavoratori e le lavoratici, alle istituzioni – come sorride mio figlio, come gli compro i giocattoli. Io pago tutte le tasse ed il Governo mi deve tutelare”. Un Governo che in questa vicenda è stato troppo debole abbassando la testa alla forza di una multinazionale, dove neanche il Premier Conte ha saputo far qualcosa di realmente incisivo per evitare la chiusura della fabbrica di via Argine. E le conseguenze di ciò non possono che non cadere sulle vite, già provate, degli operai.

Stiamo molto male in queste ore – racconta Lucia -. Sono qui con mio figlio di 5 anni, pur di essere qui ho portato anche lui. Già non vede spesso la mamma perché è sempre al lavoro ed oggi che era sabato si aspettava di star più tempo con me. Ha visto che dovevo uscire ed ha detto “io voglio stare con te” e a quel punto l’ho portato. E’ una famiglia che va sotto sopra”.

Un intero territorio che oggi vive tra l’incertezza e il dejà vu di una storia già vista.
Sono le stesse scene che vedevamo un anno fa. Questo mi deprime il cuore – spiga l’operaio Francesco Napolitano, in Whirlpool da oltre 20 anni – Mi fa tanta rabbia, dopo 18 mesi sembra di essere punto e a capo. Siamo contenti che tutti si uniscono a questa vertenza che è diventata un emblema. Lo scopo ora è quello di far smettere a queste multinazionali di far scellerate delocalizzazioni. La vera lotta però inizia ora”.

Ho dato sempre il massimo in questa azienda – racconta senza nascondere le perplessità del momento – ed ora mi sento solo un numero, ora ci sentiamo come una carta straccia usata e buttata via. Noi siamo persone e non cose!”.

Destino analogo anche per l’operaio Salvatore Dolce che in Whirlpool ci ha passato un’intera vita “a febbraio avrei compiuto i 34 anni di attività”.
Sono entrato qui che ero poco più di un ragazzo. Qui mi hanno cresciuto – spiega – mi hanno mandato in giro per il mondo a darmi professionalità. E’ un’azienda che nonostante tutto non riesco ad odiare e mai mi sarei aspettato quello che è successo. Anche perché non c’è una ragione alla base di questa chiusura. Probabilmente dovevano dare delle risposte ai loro azionisti, erano in difficoltà. Hanno preso le perdite che avevano in giro per l’Europa facendole confluire in un unico sito”.

La lotta continua anche dopo il 31 ottobre

Da oggi inizia però una “nuova vertenza” e una nuova lotta degli operai che sono ancora in presidio nello stabilimento. “Da oggi inizia un altro tipo di vertenza – spiega Luciano Doria da oltre 30 anni operaio del sito di Ponticelli – attualmente ci sentiamo offesi da come siamo stati trattati dallo Stato, dalla politica da questo Governo e dall’azienda che ci ha licenziato con un freddo Sms. Lo Stato resta inerte ed oggi ci dice che non può fare niente. Oggi potremmo gestire noi la fabbrica, come ha detto il sindaco. I 120 milioni che lo Stato aveva proposto all’azienda li può dare a noi e loro ci accompagnano con un manager governativo. In modo da riprendere la produzione. Probabilmente l’azienda non vuole che in questa fabbrica si riprenda la produzione di lavatrici perché sa la qualità della struttura, la qualità degli operai e del nostro lavoro. Ecco perché probabilmente questo non ce lo concederanno”.

Un territorio come quello di Napoli Est che oggi rischia così di cadere nell’abbandono. E nelle peripezie della vertenza si aggiungono come sciacalli le forze criminali. Se la Whirlpool va via farà un regalo ad un’altra “multinazionale” del territorio che qui, nella periferia orientale di Napoli, ha un nome ben preciso. Si chiama camorra.

Gli operai Whirlpool questo lo sanno bene. Memoria e Lavoro sono le vere “armi” per sconfiggere le camorre, in un territorio che piange già le sue vittime innocenti. Ecco perché lo scorso giugno insieme ai volontari di numerose associazioni del territorio hanno ripulito l’area intitolata alla memoria di Ciro Colonna, vittima innocente di camorra ucciso a Ponticelli il 7 giugno 2016 a soli 19 anni.

Ecco perché all’assemblea di ieri, oltre ai lavoratori dell’intera provincia napoletana, erano presenti anche le realtà associative del territorio. Perché il dramma economico è strettamente collegato al malessere sociale che questa vertenza può scatenare in un’area della città già provata dai fenomeni mafiosi.

A confermarlo è il referente regionale di Libera in Campania, Fabio Giuliani. Che oltre ad essere il responsabile regionale della reta associativa di Libera, nomi e numeri contro le mafie è anche un cittadino di Ponticelli e questo quartiere lo conosce bene.

Io sono di qua – spiega Giuliani conosco il quartiere da 46 anni e so chi arriva prima quando si chiude una fabbrica. La storia della proporzione diretta tra deindustrializzazione e presenza mafiosa noi già l’abbiamo vissuta”.

A queste persone – continua il referente di Libera –  e non dico solo i 350 della Whirlpool che ci hanno insegnato ancora una volta come si protesta in un Paese democratico, ma a tutto l’indotto alle mille famiglie che ci sono dietro. Se non interviene lo Stato a dare riposte stiamo certi che ci sarà qualcuno che le riposte le darà e questa è la criminalità organizzata. Poi resta il problema dello sviluppo. Fin a quando non modifichiamo lo sviluppo per le nostre città, le nostre periferie, ci sarà un’altra Whirlpool dietro l’angolo. Questo può essere un precedente storico anche per noi”.