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Stato di Rakhine, Myanmar, Asia sudorientale. Qui il coronavirus non è mai arrivato, almeno sulla carta. La maggior parte degli 800mila abitanti che popolano la zona non sono al corrente della pandemia, i restanti non ne avevano mai sentito parlare fino a qualche giorno fa. Colpa di un violento conflitto armato interno che ha portato alla progressiva eliminazione della connessione a internet e all’isolamento degli abitanti da qualsiasi informazione. 

A dare la notizia, rilanciata da diversi quotidiani, è stata la Cnn, che ha intervistato un parlamentare del luogo: “Quando chiedo alle persone se sanno cosa sia il Covid-19 devo spiegare loro la pandemia dall’inizio – ha dichiarato -; Non sanno cos’è il distanziamento sociale e devo dire loro come praticare una corretta igiene delle mani. La gente di Rakhine non ha paura del Covid perché non lo conosce. In questa fase sono molto più preoccupati per i combattimenti”. 

Parole che aprono a una riflessione ben più profonda. Ci sono luoghi del mondo in cui ciò che per noi rappresenta la più grande minaccia è invece un problema come tanti. Anzi, addirittura inferiore. Nella zona in questione del Myanmar ci sono attualmente 75mila rifugiati che vivono in condizioni insostenibili. Secondo l’ultimo rapporto di Save The Children nel 2019 i bambini uccisi sono stati 41, quelli mutilati 120. Nei primi tre mesi del 2020 le cifre sono aumentate di sei volte. Numeri impietosi che vanno ben oltre un virus e qualsiasi vaccino.

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