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Roma – Tutto rinviato. Il dpcm anticoronavirus entrerà in vigore non domani, come era stato annunciato dal governo, ma venerdì. Giorni e giorni di discussioni, bozze, contro bozze, riunioni, incontri tra governo e regioni, vertici di maggioranza, non sono bastati a Giuseppe Conte e allo pseudo governo che presiede per stabilire una volta per tutte quali regioni andranno in fascia rossa, quali in quella arancione, quali in zona gialla.

Il pressing dei governatori che non vogliono chiudere sta mettendo Conte con le spalle al muro, e la genialata di affidare a un algoritmo decisioni così importanti per la vita dei cittadini non è servito (come era prevedibile) per silenziare proteste e rimostranze. Il governo del “non fare” continua a rimandare la decisione: troppo debole, la leadership di Conte, per consentirgli di decidere autonomamente, dopo aver ascoltato i pareri di scienziati e ministri, come imporrebbe il suo ruolo e come hanno fatto e stanno facendo cancellerie e governi di tutto il mondo.

Conte, Don Abbondio dal ciuffo sempre meno svolazzante, è ostaggio di veti e pressioni che non è in grado di fronteggiare. L’ennesimo rinvio è una ulteriore prova della totale incapacità del governo giallorosso di assumersi le proprie responsabilità. I contagi crescono, gli italiani aspettano, Conte rinvia e l’intera nazione è paralizzata dall’attesa. L’unica certezza? L’inadeguatezza di un premier che mai nessuno ha votato, e che dimostra ogni ora che passa di essere non la soluzione ai problemi dell’Italia, ma uno dei problemi.

Pensiamo solo al fatto che, quando durante la prima ondata del virus c’erano differenze sostanziali tra le varie regioni italiane, Conte decise per il lockdown nazionale; ora, che la diffusione del contagio è omogenea, sta mettendo in piedi un meccanismo infernale pur di differenziare le chiusure. Sembra una follia, invece è il governo italiano.