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Che fosse difficile ripetere la stagione del terzo Scudetto era chiaro a tutti ma che il Napoli sprofondasse così, nel campionato 2023-2024, a nessuno sarebbe mai venuto in mente. Una stagione complicata per risultati e gioco, ma anche e soprattutto per guida tecnica. Il presidente De Laurentiis, dopo l’addio a Spalletti nello scorso giugno aveva affidato la squadra all’ex Roma e Psg Rudi Garcia ma i risultati sono stati miseri. E se all’inizio della stagione il Napoli era tenuto in grande considerazione dai pronostici tanto da essere favorito nelle quote sulla vittoria dello Scudetto, nelle settimane successive questa fiducia è venuta sempre meno. A novembre il Napoli lo esonerò per richiamare alla base, dopo quasi dieci anni, Walter Mazzarri. Lui però non ha miglior fortuna. I risultati latitano e si perdono punti pesanti in campionato, così a febbraio la vera rivoluzione: De Laurentiis chiama Francesco Calzona, una vera e propria scommessa per il Napoli e il calcio italiano. Vediamo le differenze tattiche tra i tre allenatori.

Il gioco di Garcia

Garcia chiedeva un gioco improntato sulla velocità e la verticalità, con un 4-3-3 finalizzato a sfruttare gli esterni. L’allenatore francese voleva che gli attaccanti giocassero in sovrapposizione cosa che però ha portato Kvaratskhelia e Simeone dall’altra parte ad essere avulsi dal gioco, prevedibili e sterili sotto porta. Certo l’assenza prolungata di Osimhen è stata un duro colpo da gestire ma i problemi si sono subito rivelati ben altri. Garcia voleva i terzini molto alti con i centrocampisti che dovevano andare a coprire le posizioni lasciate scoperte. E qui l’altro punto dolente con la neutralizzazione delle sfuriate offensive di Anguissa, cosa che ha fatto la fortuna del Napoli spallettiano. Anziché dare un gioco omogeneo e offensivo, purtroppo i dettami tattici di Garcia hanno creato solo confusione tra i giocatori e una difficoltà enorme nell’adattamento ai nuovi moduli. Alla fine del suo percorso durato 16 partite, tra campionato e coppe, Garcia ha raccolto 8 vittorie, 4 sconfitte e 4 pareggi

Il Napoli di Mazzarri

Con Mazzarri ci si aspettava una svolta caratteriale più che tattica. Anche lui è tornato a Napoli riproponendo il 4-3-3 dei suoi predecessori ma i problemi si sono visti sin da subito, soprattutto perché non è riuscito a risolvere le criticità create dalla gestione precedente. Anguissa è rimasto basso e al contrario Lobotka ha giocato in posizione più avanzata, non troppo congeniale per le sue caratteristiche. Ma soprattutto ancora una volta non sono state esaltate le caratteristiche di Kvara e dei giocatori simbolo. Anche con lui non sono riuscite ad entrare nelle gambe dei giocatori le sue idee tattiche di sovrapposizione dei terzini e lettura dell’avversario ma soprattutto badando in particolar modo alla fase difensiva, rimanendo troppo schiacciato dietro e non riuscendo a costruire gioco. Le colpe non sono state tutte sue, c’è da dirlo, poiché come capita spesso nel calcio i calciatori non sono riusciti a trovare le motivazioni giuste dopo mesi passati nell’anonimato della categoria. Tra coppe e campionato Mazzarri è rimasto in panchina dal 16 novembre al 19 febbraio, per 17 gare, raccogliendo solo 6 vittorie, 3 pareggi e 8 sconfitte, dove l’ultima gara, un pareggio per 1-1 contro il modesto Genoa ha fatto da bilancia definitiva per il suo esonero.

Il Napoli di Calzona

L’ultima carta giocata dal presidente De Laurentiis è stato Francesco Calzona, allenatore ancora in carica della nazionale della Slovacchia nato a Vibo Valentia. Napoli la conosceva già, essendo stato il vice di Sarri all’epoca proprio della sua esperienza in Campania. Tatticamente viene a dar seguito a quanto imparato proprio da Sarri con un 4-3-3 veloce e dinamico. Ma nelle prime uscite da tecnico del Napoli si sono già visti dei cambiamenti nella squadra. Oltre alla maggiore convinzione Calzona ha fatto quanto di più semplice potesse fare: far giocare ogni giocatore nel proprio ruolo preferito. Così si è visto un Anguissa più alto e più propenso ad attaccare lo spazio, così come a Kvara è stata data libertà di giocare e cercare il dribbling. Inoltre il suo dettame tattico parte dalla costruzione veloce dal basso, maggiore verticalità e tanto lavoro sui movimenti di centrocampisti e attaccanti per innescare la profondità dell’azione.