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“Il numero programmato a livello nazionale è stato introdotto per la prima volta il 2 agosto del 1999 con la legge 264 e la direttiva 93/16 CEE che invece era rivolta ai medici. Entrambe le direttive si limitavano, tuttavia, a imporre agli stati membri una armonizzazione dei corsi di studio di odontoiatria e medicina a garanzia della libera circolazione dei cittadini europei all’interno dell’Unione”. A dichiararlo il consigliere regionale Luigi Abbate.

“In concreto si chiedeva agli stati membri la realizzazione di un sistema di formazione che garantisse l’alta qualità dello studente. Il sistema italiano quindi del numero chiuso è una declinazione tutta italiana che ha il solo scopo di ridurre i finanziamenti all’Università e difendere gli interessi degli ordini professionali. Con la mercificazione del diritto allo studio sono proliferati test e corsi preparatori onerosi che di fatto creano disparità tra gli studenti perché non tutti possono pagare prezzi esorbitanti. Non sono garantite a tutti le stesse possibilità a prescindere dalle condizioni socioeconomico. Il sistema, dunque, non garantisce il dettato costituzionale per il quale il diritto allo studio è inteso anche come diritto all’accesso. Il sistema del numero chiuso è poi dilagato a macchia d’olio. Gli studenti ad oggi non potendo intraprendere il percorso di studio prescelto ripiegano su altri corsi affini confidando in una preparazione più proficua per prepararsi al test della facoltà ambita. Nel caso specifico di medicina gli esclusi ai test ripiegano la loro scelta su facoltà, quali biologia, biotecnologia e farmacia che vedendo un incremento del numero degli iscritti si sono sentite autorizzate anch’esse ad introdurre il numero chiuso. Filippo Anelli presidente ordine dei medici nazionale si è dichiarato contro all’abolizione del numero chiuso spostando invece l’attenzione all’atro grosso imbuto rappresentato dal numero esiguo delle scuole di specializzazione e dei corsi di formazione di medicina generale. L’ approvazione di questo pdl non si esaurisce con l’accesso libero all’iscrizione ma va oltre e significa:

1)sostegno economico alle famiglie disagiate che vedono i loro figli impegnati fuori sede

2)maggiore giustizia sociale con più offerta per residenze universitarie

3) investire sulla formazione e sulle strutture universitarie incrementando i servizi

4) e perché se esiste una così vasta domanda della nostra gioventù che preme sulle vecchie strutture universitarie non si investe per ampliarle e ammodernarle.

In realtà è ormai evidente che il capitalismo oggi non è in grado con l’attuale organizzazione del lavoro, di offrire occupazione al numero crescente dei lavoratori intellettuali che esso produce. Perciò cerca di filtrare un élite ristretta più produttiva possibile in grado di incrementare la valorizzazione del capitale.

Il resto deve rimanere fuori a pascolare nei campi angusti e affollati della precarietà e della marginalità.

La società tende a organizzarsi per l’inclusione dei pochi, quelli strettamente necessari, e l’esclusione dei più. Ma ha bisogno per ragioni politiche camuffare in qualche modo questi spreco gigantesco. Ed ecco a tal fine correre in soccorso, politici, rettori, economisti, giornalisti che alzano cortine fumogene all’ideologia del merito.

 Ma se si diradano le nebbie, in Italia appare ormai evidente che l’oligarchia degli anziani, asserragliati nei propri bastioni, sta sparando pallettoni contro i propri figli e nipoti. Approvare quest0 Dl, da mandare al Parlamento, – conclude – significa quindi iniziare un dibattito politico che coinvolge tutti e riportare nella agenda i diritti sanciti dalla Costituzione”.