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Lo sciopero di otto ore del primo dicembre, con la manifestazione a Napoli alla quale hanno partecipato migliaia di persone, ha chiuso una serie di iniziative che la UIL ha promosso per sostenere la richiesta al Governo di rivedere le proprie decisioni di politica economica.

Per Biagio Ciccone, segretario generale della Uil Pensionati Campania, è tempo di tracciare un bilancio: «L’adesione di migliaia di lavoratrici e lavoratori, di pensionate e pensionati, è l’evidente segnale di quanto le scelte fin qui fatte dal Governo Meloni vadano in una direzione diversa rispetto alle effettive esigenze delle persone e dei territori. Il risultato dello sciopero del primo dicembre nelle regioni meridionali denuncia anche l’assenza di una visione che tenga conto delle necessità e, al tempo stesso, delle potenzialità del Sud».

Segretario Ciccone, il ritardo del Meridione è un problema antico. Eppure, gli interventi messi in campo nel tempo non sono mancati. Come mai si è creato un divario che si stenta a colmare?

Noi Meridionali dobbiamo riconoscere che le risorse per il Sud non sono mancate. Prima lo Stato e poi anche l’Europa hanno attribuito significativi fondi al Sud per lo sviluppo. Tuttavia, se guardiamo ai dati, oggi il Sud è indietro rispetto al Nord tanto quanto lo era 70 anni fa. Indiscutibilmente c’è stato un fallimento dovuto essenzialmente ad una cronica incapacità del Sud ad usare bene i fondi, che spesso restano addirittura inutilizzati. Bisogna quindi migliorare la qualità delle istituzioni centrali e periferiche, nonché combattere la corruzione e migliorare la classe dirigente.

Il clientelismo che, visto da Nord, fa rima con parassitismo.

Molti che hanno analizzato il fallimento del Sud nell’impiegare le risorse hanno anche ipotizzato che chi controlla i fondi potrebbe non volerli usare in modo produttivo. In altre parole: non è mancanza di capacità, ma di volontà. Non credo che sia un’ipotesi corretta questa, anche se devo ammettere che i governatori delle Regioni hanno dimostrato di avere l’obiettivo di essere rieletti e non quello di perseguire un’effettiva crescita. Non a caso in questi giorni si sta approvando un bilancio regionale con cui si distribuiscono oltre 5milioni di inutili mance. La conseguenza è che, come leggevo in un articolo qualche anno fa, rappresentare i lavoratori che non ci sono, ma che potrebbero esserci, non porta voti: chi se n’è andato, infatti, non vota più. Rappresentare quelli che ci sono sembra la scelta giusta, ma questo vorrà dire che gli interventi saranno tutti volti a sostenere e aiutare i settori già presenti, cioè gli stessi settori che sembrano non riuscire a rendere il Sud più ricco. Quindi, la ricetta politica sarà più sussidi a ciò che c’è già e che non funziona, meno a ciò che potrebbe esserci.

Non crede che il presupposto dell’Autonomia differenziata, e cioè la definizione dei Lep, possa tutelare le aree più deboli del Paese?

I livelli essenziali delle prestazioni da garantire (Lep) su tutto il territorio nazionale hanno questa funzione. Temo, tuttavia, che unendo in un solo destino Lep e Autonomia, chi ora vuole fermare la seconda, inevitabilmente finirà per ostacolare anche la definizione dei primi o che, al contrario, chi vuole ottenere l’Autonomia rapidamente si accontenti di Lep che finiranno per accrescere il distacco tra Nord e Sud, invece di colmarlo. Anche perché l’Autonomia Differenziata porterebbe ad avere meno fondi per le pensioni, per la sicurezza, per i servizi, per la sanità e per la garanzia dei diritti sociali. La proposta di Autonomia Differenziata attualmente in discussione mira a concedere – come previsto nella Carta Costituzionale – autonomia legislativa a una regione a statuto ordinario sulle materie di competenza concorrente e in tre casi di materie di competenza esclusiva dello Stato. Un elemento cruciale è la definizione e il finanziamento dei Livelli Essenziali di Prestazione (Lep). Ma, come evidenziato da autorevoli studiosi, la determinazione dei Lep è esposta ad ampi margini di discrezionalità e dall’esercizio di questa discrezionalità possono scaturire ripartizioni molto diverse delle risorse. Il problema, in definitiva, è la compatibilità tra “ragionevoli” Lep e i vincoli di spesa a livello regionale che possiamo considerare approssimati dalla spesa storica. La consapevolezza di questa difficoltà appare indispensabile per prevenire ulteriori e preoccupanti aggravamenti delle differenze territoriali. E, francamente, nell’attuale Governo non si coglie affatto questa consapevolezza. Anzi, gli interventi previsti per la sanità nella legge di bilancio all’esame del Parlamento fanno emergere che l’interesse non è quello di assicurare su tutto il territorio nazionale una sanità pubblica efficace ed efficiente, bensì di favorire la sanità privata.

Posto che non si può sperare in un nuovo assistenzialismo, quali risorse può mettere in campo da sé il Mezzogiorno?

Il mancato sviluppo, pagato a caro prezzo anche in termini di risorse sprecate, forse un risvolto positivo ce l’ha: ad eccezione di alcune aree tristemente note, ma ben circoscritte, il Sud, a differenza di quanto accade nella pianura Padana e nelle vaste aree industrializzate dell’intero Nord, non è inquinato ed è stato maggiormente preservato dal punto di vista ambientale. In una fase storica che mette al centro dello sviluppo le istanze ambientaliste, che punta ad una transizione ecologica in ambito energetico e produttivo, le risorse preservate del Sud possono addirittura diventare strategiche.

La sostenibilità ambientale è uno dei cardini dell’Ecosistema d’Argento di cui si parla nel libro “I quattro cavalli”, da lei curato. Di cosa si tratta?

L’economista Elena Biffi propone un modello capace di dare risposte alle sfide poste dall’invecchiamento della società. Si tratta di un modello economico inclusivo, nel quale infrastrutture, prodotti e servizi sono progettati e realizzati tenendo in considerazione una popolazione che ha un’età media sempre più elevata. Un modello realizzato nel rispetto dell’inclusività, della condivisione, della fiducia e della cooperazione tra gli attori pubblici e privati. Alla base c’è un patto intergenerazionale. La sostenibilità ambientale intesa come rispetto della biodiversità e integrazione delle persone con l’ecosistema è uno dei pilastri di questo progetto, insieme alla sostenibilità economica e alla sostenibilità sociale. Solo mettendo in campo nuovi modelli di sviluppo, come appunto l’EA, si può progettare un futuro davvero sostenibile. Diversamente, ricorrendo a schemi ormai logori, avremo sempre e solo politiche economiche fatte di tagli ai servizi. E a pagarne le conseguenze saranno sempre i più deboli.

Tra questi, i pensionati e i giovani?

Proprio così. È quello a cui stiamo assistendo ormai da anni e anche questo Governo non ha saputo imprimere una sterzata positiva. Al contrario, è intervenuto sulla materia pensionistica fissando nuovi e più rigidi paletti con la rimodulazione dell’Ape sociale e l’innalzamento dei parametri per accedere ad Opzione donna e tagliando la rivalutazione dei trattamenti superiori di quattro volte il trattamento minimo, misura contro cui la Uil Pensionati ha avviato cinque cause pilota per conto di propri iscritti con l’obiettivo di arrivare a chiedere che sulla materia si pronunci la Corte costituzionale. Anche in questo caso, come sindacato, abbiamo avanzato delle proposte. Su tutte, quella di creare una pensione di garanzia per i giovani che, a causa della precarietà lavorativa, non sono in grado di garantire una continuità contributiva. Ancora una volta, però, non abbiamo avuto riscontro. Mi preme puntualizzare una cosa: non c’è sviluppo senza crescita e la sostenibilità, di cui tutti parlano, è il prerequisito dello sviluppo, ovvero di garantire il soddisfacimento dei bisogni di oggi, senza compromettere quelli delle future generazioni.