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Castelnuovo di Conza – A quarantuno anni dal terremoto che il 23 novembre 1980 devastò i comuni del cratere salernitano, provocando centinaia di morti, decine di feriti e migliaia di sfollati, al doveroso ricordo per le vittime del sisma, è il tempo di affiancare il “bilancio” di quella che doveva essere la ricostruzione del tessuto economico, urbano, edilizio pubblico e privato e sociale dei comuni che, tra inchieste giudiziarie, casi di sperpero di danaro pubblico e ritardi nell’erogazione dei fondi stanziati dallo Stato con le Leggi 219 del 1981, 32 del 1992 e i successivi decreti ministeriali 2009-2012, è rimasta a metà.

Paesi quelli del cratere, che a seguito del sisma hanno “subito” la realizzazione di opere pubbliche gigantesche e spesso, inutili, e di aree industriali dislocate nei comuni di Palomonte, Buccino, Contursi Terme e Oliveto Citra, quest’ultime costate allo Stato oltre mille miliardi di vecchie lire e divenute in molti casi, delle vere e proprie cattedrali nel deserto.
Centinaia di miliardi di lire che nei primi anni ‘90 giunsero “a pioggia” dallo Stato sui comuni terremotati, fiutati da imprenditori predoni e cooperative provenienti per la gran parte dalle città del Nord Italia, che per cinque anni, precisamente il tempo necessario per ottenere l’elargizione dei finanziamenti statali e godere delle agevolazioni economiche post-terremoto, occuparono gli opifici industriali, installando attrezzature e macchinari, senza però mai creare occupazione. Imprenditori che ben presto, si rivelarono veri e propri predoni, che chiusero i battenti subito dopo aver incassato i soldi dello Stato, trasformando così quella che doveva essere una nuova era economica per le aree terremotate, nel simbolo nazionale del fallimento, illudendo le popolazioni nell’occasione di quella che si rivelò una falsa industrializzazione.

Se da una parte però, l’industrializzazione si è rivelata una falsa illusione che solo oggi, a quarant’anni dal sima, nella post pandemia vede imprenditori del Mezzogiorno investire in economia green e tecnologie avanzate, creando lavoro con l’assunzione di manodopera locale e quindi, riappropriandosi di quegli spazzi vuoti ed abbandonati negli anni ‘90, dall’altra pare invece, la ricostruzione del patrimonio edilizio pubblico e privato, affidato alle Coop, è proceduta con estrema lentezza tanto che in molti comuni della Valle del Sele è rimasta a metà, tra decine di querelle giudiziarie e il ritardo nel trasferimento dei fondi dallo Stato alla Regione.
Un copione che sembra ripetersi per tanti comuni che dopo 41 anni dal terremoto, ancora attendono il finanziamento di decine di pratiche L.219 di ricostruzione delle case di edilizia popolare privata e di alcune opere di edilizia residenziale pubblica.

Accade a Castelnuovo di Conza, uno dei paesi “rasi al suolo” dalla furia devastatrice del sisma e interamente ricostruito, che oggi conta la presenza di 600 abitanti e 3mila cittadini iscritti nel registro AIRE dei castelnuovesi residenti all’estero. Qui, nell’Alto Sele, per completare le opere di edilizia privata servono ancora 7milioni di euro, mentre per le opere di edilizia pubblica mancano ancora all’appello oltre 15milioni di euro, per una cifra complessiva totale di circa 22milioni e 300mila euro. Una cifra questa, necessaria per mettere definitivamente la parola “fine” alla ricostruzione post terremoto che nel “determinare” come conseguenza la realizzazione di case e opere, ha favorito lo spopolamento e la fuga dei giovani. Spopolamento al quale l’amministrazione comunale guidata dal sindaco e studioso Francesco Di Geronimo, risponde con un piano di “Turismo di ritorno” e nascita del “Parco della Memoria”, un borgo antico sito nel centro storico del paese che il primo cittadino ha denominato “la Pompei della Valle del Sele”, costituito dai ruderi di ciò che resta della roccaforte del IV secolo a.C. sulla quale si svilupparono i primi insediamenti abitativi della cittadina.

Opere pubbliche da completare anche nel comune di Santomenna che conta 501 abitanti e 1100 cittadini iscritti alla lista AIRE, dove il sindaco Gerardo Venutolo, dalla sua stanza del Municipio, rimasto con due soli dipendenti, tuona contro lo Stato –“Servono ancora 5milioni di euro per completare la ricostruzione- spiega il primo cittadino. -Lo Stato lasci decidere al Comune come spendere i soldi ed in quali opere perché siamo noi sindaci a conoscere le vere priorità per i territori. Cosa me ne faccio di un altro finanziamento per il campo sportivo quando qui ci sono ben altre priorità da affrontare? -si chiede”. Una rabbia quella del sindaco che diventa “tangibile” anche nell’osservare come il suo comune, similmente ad altri, conta la presenza di un campo sportivo senza una squadra di calcio, di un edificio comunale colmo di stanze vuote di grandi dimensioni ma occupato da soli tre dipendenti e di spazi ed edifici scolastici giganteschi ma senza studenti. Una realtà difficile quella di Santomenna che Palazzo di città prova a far resistere attraverso la presenza delle suore, del turismo di ritorno dei sammennesi che vivono all’estero e le attività culturali e storico-religiose.

Un po’ più a Valle, nel comune di Valva, la situazione cambia ma la ricostruzione rimasta a metà, resta ancora una nota dolente per la comunità. La ricostruzione infatti, è ferma dal 1993, con un paese ricostruito a metà, a causa di un contezioso tra il Comune e una Coop emiliana e a cui, dopo una serie di sentenze giudiziarie davanti al Tribunale e al Tar, solo qualche mese fa, è stata messa la parola “fine”. Contezioso che oggi, da un lato vede il Comune impegnato nel “saldare” un debito di 4milioni con la cooperativa per le opere realizzate fino al ’93, mentre dall’altro versate vede l’amministrazione comunale guidata dal sindaco Giuseppe Vuocolo, “rimboccarsi le maniche” per acquisire al patrimonio comunale gli edifici privati abbandonati e pericolanti che furono abbandonati dai valvesi durante il terremoto, accatastare gli edifici siti nel centro storico del paese e progettare il completamento della ricostruzione candidando il centro storico nei programmi nazionali di valorizzazione e restaurazione dei borghi antichi. “A breve-annuncia il vicesindaco Luca Forlenza-daremo incarico ad un tecnico per stilare una perizia sugli immobili del centro storico ed avere contezza del costo necessario per la ristrutturazione degli edifici al fine di poter puntare al completamento della ricostruzione del nostro paese attingendo ai fondi del Recovery Fund”. Centro storico, ma anche la messa in funzione dell’edificio del Municipio la cui sede originaria fu distrutta dalla furia del sisma e al suo posto, venne realizzata una imponente e moderna opera pubblica, completata ma mai entrata in funzione.

Un bilancio drammatico questo, che racconta di come cittadini e rappresentanti delle Istituzioni che vivono nei territori emarginati del salernitano, sono costretti a fare i conti non solo con la lenta burocrazia della ricostruzione e tutte le problematiche derivanti dalla collocazione geografica dei territori siti nelle aree interne della provincia, ma anche con uno Stato che sembra distante dalle esigenze del territorio e con i giovani che, non intravedendo alcuna possibilità occupazionale nella loro terra, sono costretti ad emigrare. Così, il giorno del ricordo e della memoria delle vittime del sisma, che vede come ogni anno, amministrazioni comunali e cittadini pregare per le vittime, è anche l’occasione per i sindaci di lanciare l’ennesima richiesta di aiuto allo Stato affinché la ricostruzione venga completamente terminata.