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Salerno – Il giorno dopo è quello delle reazioni. Martedì un nigeriano era stato visto lavarsi, nudo, in via Clark. In ottemperanza alle norme in vigore era stato avviato dalla Questura l’iter per l’espulsione con immediato trasferimento al centro per i respingimenti di Bari. Oggi arriva la testimonianza di chi lo aveva accolto. Ripresa anche dalla Comunità di Sant’Egidio di Salerno, ecco la lettera di Antonio Bonifacio dell’ufficio Migrantes dell’Arcidiocesi di Salerno-Campagna-Acerno: “Aspettano prima che ammazzi qualcuno forse? questa è la domanda che (il sig. Marcello) posta nel testo di una notizia ‘Minacce molestie e atti osceni in via Clark a Salerno: la denuncia’ che subito ha fatto scattare commenti razzisti, soluzioni disumane. Sicuramente vi è un problemi di atti osceni, ma anche di omissione di atti di ufficio. Voglio&Vogliamo solo raccontare o meglio cercare di dare voce ad Adam, il ragazzo nigeriano ‘pericoloso, aggressivo, la piaga della nostra città, il problema della nostra società’. Adam è il nome di fantasia che tanti di noi gli hanno dato per… chiamarlo per nome, non chiamarlo per colore o categoria sociale o per patologia fisica o pschiatrica. Voglio&Vogliamo raccontare l’Adams che noi (siamo almeno trenta) da novembre 2018 abbiamo conosciuto.
Ogni sera, grazie all’impagabile ed encomiabile impegno dei ragazzi della Croce Rossa Italiana, veniva accompagnato dall’accoglienza notturna da Missionari Saveriani. Arrivava lì, silenzioso, guardingo, mansueto. Talvolta cenava con i volontari e gli ospiti, talvolta (sempre con cortesia, nel suo farfugliare incomprensibile ad un orecchio distratto o con un semplice gesto della mano) non cenava e restava ad osservare la quotidianità della serata tra gli altri ospiti e volontari. Temeva la voce alta, la confusione gli incuteva terrore probabilmente per la sua storia passata vissuta (per quel che siamo riusciti a ricostruire dalle sue poche parole chiare pronunciate ‘Libia’, ‘Nigeria’) in Libia e di torture, come riportate e visibili sul corpo. Dopo qualche settimana che costantemente veniva la sera da noi, che iniziava a ‘fidarsi’ di noi, a riconoscere ‘gli ospiti’ (non Santi, né tanto mansueti) che tutti erano andati a dormire, si alzava e prendeva la mazza, lo straccio, il secchio ed iniziava a lavare il pavimento dell’antibagno ed i bagni. Senza che nessuno glielo chiedesse, senza forse che ve ne fosse bisogno. Un po’ come un rito, un po’ come una sana abitudine, un po’ come un gesto di ringraziamento (noi vogliamo pensarlo così), un po’ come gesto che significava che erano andati tutti a letto e quindi poteva andare anche lui dopo aver pulito. Non riusciva a dormire con gli altri per una paura che forse si portava dentro. Una paura di luoghi affollati, di tate persone diverse. Dormiva su di una brandina all’ingresso, non un luogo ottimale ma a lui gradito per avere quella serenità di riposare (dopo le prime due sere passate insonni a cercare di capire, conoscere e riconoscere la struttura).
La mattina con la sveglia si alzava, si rimetteva le sue scarpe e il ‘consueto’ giubbino e insieme con gli altri usciva e da rione Petrosino tornava al luogo a lui caro del bar a via Generale Clark riprendendo per abitudine, per forza di volontà nel tornare nel posto a lui caro dagli amici del bar, la strada. Camminando piano, fermandosi ad osservare i negozi (qualche volta lo abbiamo seguito per cercare di capire cosa facesse, pensasse) fermandosi, talvolta, al mercatino etnico di Mercatello ad acquistare la cinta per metterla ai pantaloni comunicando a gesti con il ragazzo senegalese e pagandola con gli spiccioli conservati in tasca. Nei giorni Adam si relazionava sempre più facilmente con noi e con gli altri ospiti. Quanta meraviglia nel vederlo ballare (cioè muoversi con un po’ di ritmo) durante una cena. Quanto stupore nel fare dei selfie con tutti noi e con quel sorriso accennato, quel capo finalmente scoperto dal cappuccio (secondo noi, segno che si sentiva al sicuro, che non si doveva coprire la testa da…). Vorrei&Vorremmo pubblicare le foto con lui, per farvi vedere il suo volto, per farvi conoscere i suoi occhi, per farvi conoscere le sue ferite. Per rispetto di Adams non lo facciamo, ma fidatevi… Ma vorrei&vorremmo altresì denunciare chi non si è occupato di lui,  chi ha consentito che stabilisse la sua dimora in quel metro quadrato a via Generale Clark senza cercare di curare la sua difficoltà e il suo trauma psichico, chi ha continuamente ignorato le richieste di cittadini affezionatisi a lui e che non ritenevano possibile continuare a vivere così.  Non condanno&condanniamo il sig.re Marcello, ma gli chiediamo di non scagliarsi contro Adams ma contro chi, avendo le responsabilità, ha omesso. Chiediamo a tutti gli scrivani di commentare l’episodio ma non aggredire l’uomo, povero, umile, ultimo che viveva in quel metro quadrato perché ‘malato’, denudatosi per lavarsi forse per pazzia o per qualche sinapsi che nessuno di noi può conoscere, di non gridare al pericolo, di non scaricare tonnellate di razzismo. Tutti dovremmo chiederci chi c’è dietro un volto, un gesto (talvolta inspiegabile alla nostra mente); tutti dovremmo pretendere che i soggetti pubblici si occupino degli ultimi, degli emarginati, non solo con interventi di sicurezza ma anche di cura”. (Foto: uno sbarco a Salerno nel 2017).