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Salerno – In un messaggio inviato oggi, in occasione dell’anniversario del terremoto del novembre del 1980 che duramente colpì la provincia di Salerno, il Vescovo Andrea Bellandi ha voluto far sentire la vicinanza sua e della Chiesa alla storia del territorio e delle persone che lo abitano.   

Sento quindi non soltanto opportuno, ma necessario, farmi presente alla comunità tutta – in primis a quella ecclesiale, ma allargando poi lo sguardo a tutte le donne e gli uomini che popolano questo territorio – in occasione del 40° anniversario del sisma avvenuto il 23 novembre 1980. Quell’evento, fino a un anno fa, era per me soltanto cronaca storica, oggi lo sento parte della mia persona ed elemento imprescindibile del mio ministero pastorale in mezzo a voi – ha scritto il vescovo – Il mio ricordo e le mie preghiere vanno subito alle centinaia di vittime di quel tragico evento e ai loro familiari. Le 19.35 di Domenica 23 novembre: novanta secondi interminabili, che hanno segnato profondamente la vita concreta delle persone, i ritmi sociali delle comunità legati ad un mondo contadino e semplice, il vissuto della fede con un forte senso della tradizione e della pietà popolare. Sui volti, soprattutto delle persone più anziane, che ricordano dal vivo quel tragico evento e che i video trasmessi nei giorni seguenti hanno ripreso, accanto ai segni dell’età si possono leggere – tra le pieghe del loro volto – la paura, lo smarrimento, l’incertezza sul futuro“. 

La lettera continua ricordando come sotto le macerie del sisma che ha colpito – nei territori dell’Alta valle del Sele, allora parte della Diocesi di Campagna e attualmente appartenenti alla nostra Arcidiocesi – particolarmente paesi come Laviano, Castelnuovo di Conza, Santomenna ed altri comuni viciniori, è un intero mondo di valori che si è fermato ed è crollato: un capitolo nuovo della storia si è aperto tra il sangue e le lacrime di quella gente.

Tuttavia, nella logica della fede, anche il dramma stesso del dolore e della morte si illumina di senso e di luce nuova, così che anche il momento più difficile e tragico può diventare un seme di rinascita e di ripresa – ricorda ancora Bellandi. La presenza dei volontari (tra cui tanti sacerdoti) che si mobilitarono da tutta Italia per prestare soccorso e consolazione con umanità e preghiera in quei giorni e mesi, il sorgere del primo embrione della Protezione Civile e della Caritas diocesana, la vicinanza di tanti parroci alla gente in difficoltà e l’impegno di singoli e famiglie nel tessere nuovamente un tessuto umano e sociale altrimenti lacerato dalla paura e dalla perdita di vite umane e di beni materiali, sono stati i segni umani di una resurrezione già operante nella fase immediata dell’emergenza“.

Secondo il vescovo di Salerno, come tutti i grandi eventi storici, anche il terremoto del 1980 ha tuttavia portato con sé luci e ombre, esempi commoventi di generosità accanto ad azioni miranti esclusivamente al proprio interesse.  

Questo messaggio vuole essere prima di tutto, umilmente, un segno della presenza della Chiesa nella storia e nella vita concreta della gente: non una Chiesa, quindi, che si arrocca e si difende, ma una comunità – quella rinnovata e abitata dalla grazia di Dio – che desidera coinvolgersi pienamente con i drammi dei propri fratelli e sorelle, nella storia di ieri e di oggi. Un messaggio che non vuole semplicemente rinnovare un ricordo sbiadito dal tempo, ma una memoria che interpella tutti noi, ad ogni livello, a fare della speranza un motore di rinascita e di impegno civile, oltre che ecclesiale. Un messaggio che vuole infine gettare un seme di fiducia su questo tempo segnato da un nuovo dramma umanitario, sul quale siamo chiamati e desideriamo proiettare la luce di Cristo – Agnello immolato, ma vittorioso – sul dolore e sulla morte” ha concluso Bellandi.