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Sono centinaia di migliaia le assunzioni “facilitate” e incentivate da un intervento pubblico per stimolare le imprese a fare il grande passo: occupare, meglio se a “tempo indeterminato”, più persone possibile. Da sempre sono in campo strumenti finalizzati a questo obiettivo: apprendistato, garanzia giovani, bonus occupazione, e, più recentemente, la maxi e la mini decontribuzione del 2015 e del 2016. Oggi, di fronte a un segnale, ancora debole, di ripresa occupazionale si pone con urgenza il problema di come dare risposte a un segmento, quello degli under 35, che mostra forti sofferenze occupazionali per la quantità (ancora insufficiente) ma, soprattutto, per qualità (bisogna arrivare a lavori stabili). Uno dei terreni sul quale la politica sta valutando di intervenire per favorire l’occupazione giovanile è quello di abbassare il cosiddetto “costo del lavoro” con la finalità, come detto di ridurre il peso degli oneri sociali, e stimolare nuove assunzioni. L’ipotesi che sono attualmente in campo, tenendo conto anche delle risorse disponibili, prevedono agevolazioni per le assunzioni di giovani o sotto i 29 anni o under 34 anni con contratti a tempo indeterminato. Gli incentivi per tali assunzioni potrebbero prevedere una dote per i giovani che agisce su un duplice aspetto: ridurre per i primi 2 anni del 50% i contributi previdenziali assicurativi, e poi a partire dal terzo anno ridurre strutturalmente il cuneo contributivo facendo scendere le attuali percentuali previdenziali di 2 o 4 punti percentuali.

Ma qual è il quadro attuale della composizione del “costo del lavoro” nel settore privato? Quanta è la differenza degli oneri sociali tra assunti a tempo indeterminato, determinato e in apprendistato? Quale è la forma più conveniente per assumere? Se si analizza uno stipendio lordo di 24 mila euro (media nazionale degli stipendi nel settore privato) il lavoro a termine costa quasi 36 mila euro; il lavoro stabile senza decontribuzione 34 mila euro (il 4,9% in meno); l’apprendistato calcolato con la media delle retribuzioni di 4 anni con il meccanismo del sotto inquadramento (2 livelli inferiori), costa quasi 26 mila euro (il 24,7% in meno del tempo indeterminato non incentivato. Secondo una simulazione della UIL Servizi Politiche Economiche e del lavoro, con la decontribuzione del 50% per i primi due anni e con un taglio strutturale del cuneo contributivo i 2 punti, su uno stipendio lordo di 24 mila euro, il costo della media annuale sui primi 4 anni equivale a 32.095 mila euro, inferiore all’attuale tempo indeterminato non incentivato del 6,1%, ma superiore del 19,8% rispetto all’apprendistato. Mentre se si prende in considerazione la decontribuzione del 50% per i primi due anni e con un taglio strutturale del cuneo contributivo di 4 punti la media del costo annuale sui primi 4 anni equivale a 31.855 euro, inferiore all’attuale tempo indeterminato non incentivato del 6,8%, ma superiore del 19,2% rispetto all’apprendistato. Ma quale è il costo dell’operazione di decontribuzione per i primi due anni e poi il taglio strutturale dei contributi previdenziali? E si, perché questa operazione non potrà che esser finanziata a carico della fiscalità generale. Difatti, è impensabile che si riduca il montante previdenziale per le future pensioni dei giovani. Quindi, cosi come è avvenuto e avviene con altri “incentivi” (compresa la maxi decontribuzione 2015), sarà il bilancio dello stato (e quindi la fiscalità generale) a “sostituirsi” all’impresa nel pagare lo “sconto”.

La UIL è d’accordo per introdurre misure strutturali per incentivare le assunzioni dei giovani – commenta Fioravante Bosco (Uil Av/Bn) purché queste siano mirate e premiali. D’altronde i buoni dati di giungo 2017 sui due unici incentivi rimasti in piedi per quest’anno (Bonus giovani e Mezzogiorno) dimostrano che strumenti mirati, selettivi e vincolanti per premiare il lavoro a tempo indeterminato possono funzionare, anche se vanno sempre accompagnati da politiche economiche espansive”.