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Chissà in quanti ricordano il suo nome, sicuramente non la massa dei cittadini beneventani, ma qualcuno in città e nella provincia nell’ambito politico scavando pur riuscirà a portare a galla la fugace esperienza sannita dell’attuale senatore Enrico Borghi che all’epoca della sua comparsa sul palcoscenico politico locale era deputato. A Benevento lo spedì direttamente l’allora segretario Dem Enrico Letta in seguito ad una vicenda giudiziaria che aveva sconvolto le coscienze e gli assetti politici del Partito Democratico locale. Borghi arrivò con l’incarico di commissario provinciale del partito per restare tale sino all’elezione dell’attuale governance sannita di Giovanni Cacciano, il 22 febbraio 2022.

Eppur in un così breve lasso di tempo Borghi riuscì nella non facile impresa di accomodarsi nel Sannio come un ‘elefante in una cristalliera’. Porta anche la firma di Borghi la sconfitta Dem alle amministrative beneventane, quelle che hanno condotto al raddoppio dell’esperienza sindacale di Clemente Mastella che, dopo aver dato uno sostanzioso supporto al Partito Democratico in Campania, contribuendo alla rielezione del governatore De Luca a Palazzo Santa Lucia, si ritrovò a Benevento un Partito Democratico guidato da Borghi che non perdeva giorno per attaccare Mastella con la successiva espulsione dal partito della componente dei reprobi di ‘Essere Democratici’ colpevoli del loro appoggio al sindaco uscente in contrapposizione al diktat di Borghi, così come pure fece la componente sannita dei seguaci di De Luca, ma nel caso specifico il governatore non fu espulso dai Dem.

Un Borghi ‘Dem-Killer’ dell’alleanza di centrosinistra regionale che, dopo un semestre davvero che più bianco non si può, salutò il Sannio nel febbraio 2022, e che adesso a distanza di poco più di un anno da quei saluti senza rimpianti lascia pure il Pd per accasarsi sotto le insegne di Italia Viva e scendere in campo al fianco di Mattero Renzi.  

Stavolta Borghi con le sue dichiarazioni a Repubblica prova a mettere nel mirino il suo fresco ex partito e la sua nuova guida.  “Le prime scelte di Schlein rappresentano una mutazione genetica: a partito riformista a un partito massimalista di sinistra” – ha piegato Borghi – “Dopo l’elezione di Schlein e ho posto i temi della sicurezza e della difesa, dei cattolici e dei democratici, di una necessità di una sintesi tra culture. Su questi argomenti non ho ricevuto alcuna risposta e come sappiamo in politica i silenzi contano più delle parole pronunciate. Invece ho sentito parole chiare su un altro versante, e cioè sull’utero in affitto”. Indicato dal Pd quale componente del Copasir, Borghi ha spiegato che non si dimetterà (pratica abbastanza inusuale in Italia): “Se fossi stato presidente del Copasir mi sarei dimesso, ma permanendo nella mia condizione di parlamentare di opposizione rispetto la prassi parlamentare e anche il ruolo per il quale sono stato indicato”,