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Fabio Cannavaro conta i reduci, un’operazione che non gli è nuova. In queste settimane nel fare l’appello dei presenti ha dovuto depennare di volta in volta un nome nuovo. Il Benevento sta preparando lo scontro diretto con il Pisa al Delfino Training Center di Città Sant’Angelo, sede di un ritiro che si spera possa aiutare sul piano mentale sia lo staff che i pochi calciatori rimasti a disposizione. La Strega sarà priva di nove infortunati, lista allungata dai nomi di Ciano e Vokic, che hanno alzato bandiera bianca nell’ultimo turno.

Dare una lettura alla distinta di Como-Benevento può aiutare a comprendere quanto sia complicato, in questo momento, sviluppare un piano partita dignitoso. Sostituito (per logica) Ciano con Farias tra i titolari ed escluso Vokic dalle riserve, resterebbero in panchina i soli Masciangelo, Foulon, Simy, Koutsoupias e Basit (da tempo ai margini del progetto), oltre ai giovani del vivaio e al portiere Manfredini. Una crisi numerica che diventa di conseguenza tecnica, considerando che nessuno degli infortunati riuscirà a recuperare e che tra i disponibili si dovrà ricorrere a un adattamento sconveniente in varie zone del campo.

Nel mirino della critica, al Sinigaglia, è finito anche il pallone d’oro. Ha cambiato almeno quattro moduli in novanta minuti con la speranza di trovare il bandolo della matassa. Dal 3-4-3 iniziale si è passati al 3-4-2-1 al 15′, in seguito al cambio Ciano-Koutsoupias. Dall’intervallo, poi, passaggio alla difesa a quattro con l’uscita di Leverbe e l’inserimento di Farias per una sorta di 4-3-2-1. Infine il 4-2-4 che ha visto ruotare le varie pedine offensive con in testa il girovago Antonino La Gumina. Il palermitano si è smarrito in un’opera di trasformismo perpetuo: ha iniziato da esterno nel tridente, ha proseguito da rifinitore, poi un nuovo intermezzo da esterno alto e in conclusione seconda punta negli ultimi dieci minuti. Nulla di tutto ciò ha prodotto risultati al cospetto di un Como passivo e vulnerabile, insidiato dalla sola punizione di Vokic ben oltre il novantesimo.

Nella tranquillità del ritiro in riva all’Adriatico, Cannavaro sta valutando correttivi ai limiti dell’impossibile. Mosse che sgravino i due esterni da sacrifici che hanno dimostrato di non poter fare, i due mediani da rincorse che non sono nelle loro corde e i tre centrali di difesa da uno sfiancamento che sfocia in una perdurante mancanza di lucidità. Una variazione di assetto, uno scivolamento di pedine, un cambio di mentalità. Qualsiasi cosa purché faccia risorgere una squadra ansimante.

La scossa il tecnico aveva provato già a darla proprio sabato con le chiacchierate dimissioni, ancora oggetto di riflessione in città. Negli ormai consueti spazi di discussione del tifo, sia reali che virtuali, c’è chi si dice stranito per un gesto così eclatante ma anche chi invoca un intervento pubblico di Pasquale Foggia. Il direttore sportivo, che il ruolo societario indica come responsabile del progetto tecnico, si mostra silente. Nel presentare in conferenza la nuova stagione – il 14 giugno scorso – ammise con umiltà un errore commesso nei mesi precedenti, quando critiche fumose piovvero sul suo capo: “Sono una persona molto riservata – disse il diesse – cercherò di cambiare perché finora ho comunicato poco con la gente. Credo sia il giusto punto di ripartenza anche per me”. Accanto a lui c’era Fabio Caserta. Oggi, dopo quattro mesi, quel ‘nuovo’ Benevento è già diventato vecchio.