- Pubblicità -
Tempo di lettura: 3 minuti

Benevento – Dovranno passare 80 giorni per conoscere le motivazioni di una sentenza che ha fatto discutere e che, in attesa del sicuro Appello, mette in difficoltà il Comune di Benevento.

Parliamo della decisione del Tribunale di Benevento di condannare, su richiesta del PM Flavia Felaco, il dirigente di Palazzo Mosti, Andrea Lanzalone, a 3 anni di reclusione (18 mesi la richiesta del PM) con la pena accessoria dell’interdizione in perpetuo dai pubblici uffici per tentata concussione ai danni di due dipendenti comunali. I fatti, risalenti ad otto anni fa, e che hanno coinvolto anche la dottoressa Cristiana Fevola (condannata in primo grado a 2 anni e 4 mesi per falsità materiale commessa da privato), hanno riguardato la vicenda concorsuale per due posti di funzionario tecnico ingegnere o architetto al Comune di Benevento.

Lanzalone avrebbe così tentato di obbligare due funzionarie comunali ad inserire una domanda di un candidato contenente una diversa dichiarazione di titoli che avrebbe provocato vantaggio nella valutazione e nella pubblicazione della graduatoria.

Dopo aver incassato il rifiuto, secondo l’accusa, Lanzalone avrebbe insistito ad approntare, una determina di approvazione degli atti concorsuali.

Siamo al primo grado di giudizio e come detto, il legale del Lanzalone, avvocato Nunzio Gagliotti, ha già preannunciato certo ricorso in Appello per una decisione che secondo la difesa appare : “inattesa, vista la non linearità nella ricostruzione dei fatti presentata dall’accusa; in particolare – spiega l’avvocato Gagliottirisulta dimostrato con documenti come il mio assistito avesse chiesto per iscritto alle funzionarie, dato il suo obbligo giuridico di rispetto dei tempi fissati dalla giunta per la conclusione della procedura concorsuale, di procedere all’approvazione della graduatoria oppure, se avessero evidenziato irregolarità o errori della Commissione, di produrre una specifica relazione scritta. Dunque alcun tentativo di concussione”.

Inoltre, continua il difensore, “quelle dichiarazioni integrative dei titoli prodotte dalla candidata non assurgevano a falsi, come ribadito dal P.M. in sua richiesta di archiviazione del 4.4.2014, risultavano trasmesse col mezzo del fax del Comune e solo non avrebbero dovuto essere prese in considerazione dalla commissione (di cui Lanzalone non faceva parte) la quale aveva già valutato la relativa posizione in base all’originaria domanda. Non avrebbe avuto alcun senso manomettere atti già formalmente presi in carico dalla commissione esaminatrice e valutati con l’attribuzione di un punteggio. Ne consegue l’illogicità e la sostanziale inutilità d’un tentativo di concussione attuato, come pretenderebbe l’accusa, attraverso presunta richiesta di sostituzione della dichiarazione sostitutiva di titoli. Sostituzione che, per l’appunto, avrebbe dovuto integrare quella utilità, oggettivamente apprezzabile per sé o per altri, senza la quale nemmeno è a parlarsi di concussione.”

Il Tribunale però, in questo primo grado, ha valutato diversamente l’evento condannando il dirigente pubblico.

Ora, però, in attesa delle motivazioni e dei successivi gradi di giudizio, si pone un problema per Palazzo Mosti e cioè valutare con attenzione (ricordiamo che il fatto sarebbe stato commesso 8 anni fa) se ricorrono le condizioni per applicare la norma della legge 97 del 2001 che regola gli effetti della sentenza di condanna di primo grado sul rapporto di pubblico impiego prevedendo in taluni casi la sospensione del rapporto stesso sino all’eventuale assoluzione futura e salvo il decorso del termine di prescrizione del presunto reato. La legge Severino poi, anche per le condanne in primo grado, prevede, per alcuni reati, il decadimento dai pubblici uffici. Ma per ora Lanzalone resta al suo posto.