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È tempo di provinciali ma non lo sa nessuno. Con la legge Del Rio del 2014 in Italia i rappresentanti delle Province sono votati da consiglieri comunali e sindaci. Ne parla Andrea Di Santo, consulente in comunicazione.

Le Elezioni Provinciali sono diventate una cosa di palazzo. La legge Delrio del 2014, un’era politica fa, “aboliva” le province – o quantomeno ci provava – rendendo indiretta l’elezione dei rappresentanti. Un’era di antipolitica e di delegittimazione della stessa che vedeva nell’eletto un privilegiato (vi ricordate “la casta?”).

Ebbene, non si entrerà nel merito della discussione politica (a cosa servono le Province?). Si vuole, però, sottolineare come, attraverso un percorso di rinnovamento dell’assetto politico-istituzionale italiano si è pensato bene, come prima cosa, di abolire non la carica in sé – che invece svolge ancora un ruolo rilevante in ambiti quali la scuola e i trasporti e che, dunque, sarà centrale nella distribuzione dei fondi del PNRR – ma di abolirne il metodo di selezione dei suoi amministratori. E in Italia ci sono sempre meno elezioni.

Fino ad allora infatti, e i meno giovani ne ricorderanno la centralità, i Consigli Provinciali erano eletti direttamente dai cittadini ed il cursus honorum di ogni politico con grandi ambizioni prevedeva il passaggio alla Provincia. Si ricorderà di Matteo Renzi, Presidente della Provincia di Firenze dal 2004 al 2009, poi sindaco di Firenze e, per assurdo, capo del governo che promulgherà la legge Del Rio.

Insomma, il 18 dicembre circa 68.500 tra sindaci e consiglieri comunali, provenienti da oltre 5.500 comuni italiani, saranno chiamati al voto per eleggere 31 presidenti di provincia e 886 consiglieri provinciali. In Campania, saranno coinvolte le province di Benevento, Caserta e Avellino.

Ma lo sanno in pochi. “Pochi eletti”, appunto.

Il problema che si vuole sottolineare è che, in Italia, sempre meno sono le cariche elettive e sempre meno i cittadini sono chiamati al voto. 

Si vota ogni cinque anni per Comunali, Regionali, Europee e ormai persino per le Politiche – ai tempi della Prima e Seconda Repubblica solo poche Legislature sono arrivate a scadenza naturale.

Gli stessi rappresentanti, qualsiasi sia la carica, la reggono per cinque anni. Un’immensità, se si pensa a quanto il mondo cambi velocemente.

Ma chiamare i cittadini alle urne significa fruire di una migliore rappresentanza, più “rendicontazione”, più democrazia. 

Invece oggi, nella già citata era dell’antipolitica, si vota sempre meno.

Ed è un caso tutto italiano.

Negli USA ci sono circa 500.000 cariche elettive. Si vota per tutto: consigli scolastici, giudici distrettuali, consigli di contea e molto altro. 

E, soprattutto, si vota ogni due anni per deputati e senatori. Le “mid-term elections” sono l’occasione attraverso la quale i cittadini americani sono chiamati a giudicare il lavoro dei propri rappresentanti a Washington. Un modo per far sì che ogni eletto si senta sempre spinto dalla necessità di fare, perché alla porta c’è il giudizio dei suoi elettori.

La patria della democrazia, direte. Ma quindi la nostra è una democrazia di serie B?

Le province di sicuro. Un “Ente di secondo livello”, secondo la legge Del Rio.

Ente che, secondo le voci, resterà soggetto ad elezione indiretta e che vedrà addirittura esteso il mandato dei suoi “indi-eletti” (da 2 a 5 anni – qui l’articolo di Antonio Corbo).

Mi chiedo, per concludere, se ridurre la rappresentanza legittimata da elezioni sia la soluzione per un sistema politico già ampiamente delegittimato, in cui sempre di più i cittadini si allontanano dalla politica e dalle istituzioni.

Le elezioni sono il modo in cui la politica torna tra i cittadini e i cittadini tornano a chiedere rendiconto ai propri rappresentanti.

Sono la festa della democrazia. Bisognerebbe tornare a festeggiare più spesso.