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“Dopo 25 anni è giusto fare un bilancio politico più che elettorale”. Comincia così la riflessione di Federico Paolucci, portavoce di Fratelli d’Italia nel Sannio, a commento dell’intervista realizzata da Anteprima24 a Pasquale Viespoli (leggi qui) in occasione dei venticinque anni dalla sua elezione a sindaco di Benevento.

Prosegue Paolucci:

“L’elezione diretta del sindaco del ’93 premiò la qualità dei candidati e una immedesimazione più diretta tra cittadini e sindaco. Un’ulteriore spallata ad un sistema già crollato con tangentopoli ma ancor prima con la caduta del Muro di Berlino. La seconda repubblica fu la fine, con la DC ed il PSI, della democrazia bloccata.

La storia non si ripete ma a volte tornano alcuni ingredienti. Il racconto che allora animava le piazze reali era simile alle parole d’ordine che ha animato quelle virtuali dei 5stelle della prima ora; il grido: “onestà, onestà…” era lo stesso, per chi in gran parte ingrossò le file del Msi poi AN, ma anche del PCI poi Pds-DS, oggi PD.

Con una importante differenza: quegli uomini venivano da una critica antisistema, non antipolitica. Avevano un retroterra politico di esperienze solide, di grossa competenza, maturato in anni di opposizione, e di costante militanza politica. Viespoli a Benevento, ma anche Bassolino a Napoli, Veltroni a Roma, De Luca a Salerno e tanti altri, furono sindaci capaci e competenti, non cittadini presi dal nulla e messi a guidare un treno sul quale non erano mai neanche saliti, come sta accadendo oggi.

Sul piano locale, e del mezzogiorno in particolare, nacquero esperienze che ancora oggi molti rimpiangono. Chi, come Viespoli, ha interpretato bene quella stagione, ha messo in atto dinamiche amministrative fruttuose che ancora oggi restano valide e di esempio.

Sul piano nazionale, però, non solo i partiti ma il mondo intero stava cambiando e quei traguardi paradossalmente li raggiungevano soggetti fortemente ideologici, proprio mentre la caduta del Muro di Berlino decretava la fine delle ideologie.

La cosiddetta seconda repubblica, caratterizzata dal bipolarsmo centrodestra-centrosinistra ed a torto definita il ventennio berlusconiano (che ha governato solo otto anni e mezzo su venti), fu invece l’epoca della globalizzazione post-ideologica, della società liquida, della caduta dei confini e – per ciò che riguarda l’Europa – della cessione della sovranità nazionale ad un organismo non democratico. L’illusione che bastasse il bipolarismo ad assicurare stabilità ha determinato un sistema rivelatosi fragile, nel quale le due parti si avversavano su temi populistici e post-datati (l’anticomunismo per Berlusconi e l’antifascismo per la sinistra), mentre in realtà attuavano le stesse misure sociali ed economiche imposte dall’Europa, sposando entrambe la fede liberal-liberista della globalizzazione. A ben vedere, le differenze si marcavano solo sui temi dei diritti civili. Adozioni, famiglie di fatto, omosessualità, fecondazione assistita, eutanasia, sono stati per anni l’unico vero terreno di scontro.

AN non è rimasta indenne da queste sirene globalizzatrici e, sul terreno nazionale, ha dato il suo contributo alla scomparsa del tema del mezzogiorno dalla politica nazionale, per sposare la causa della questione settentrionale, che ha tenuto banco, per tutti i partiti, dagli anni ’90 fino agli anni della grande crisi economica post-2007.

La tesi prevalente era: il motore del paese è il nord; la competizione globale comporta che bisogna sostenere le ragioni dell’anima produttiva del paese, perchè la competizione globale si fa tra aree omogenee. Ed anche nelle grandi conferenze programmatiche di AN, che si tennero al nord (Verona e Bologna) il leit-motiv era: Milano è più vicina a Monaco ed alla Baviera che a Napoli e a Palermo; così l’Europa delle Regioni del Trattato di Maastricht tumulava l’Europa delle Nazioni del Trattato di Roma. Questo ha condotto alla tesi per la quale il Mezzogiorno potesse crescere solo se il motore produttivo (il Nord) cresceva. Con buona pace di chi, come Viespoli (ma anche Musumeci ed altri), ha sempre tenuto alta la guardia sulla questione del Sud, ricordando spesso e giustamente che è stata proprio la Lega, complice del Governo d’Alema, a cancellare il Mezzogiorno dalla politica e prima ancora dalla Costituzione Italiana. La grande crisi ha dimostrato la fragilità di questa situazione, e la persistente corruzione e le nuove povertà hanno generato il clima di antipolitica che ci ha condotto in questa nuova fase.

Tuttavia, prevale nella fase attuale la lettura leghista per la quale il Sud cresce solo se l’Italia (cioè il Nord) cresce: infatti nella manovra economica leghista-a-5stelle l’unica misura mirata per il sud è quella di abolire gli sgravi contributivi alle imprese del Mezzogiorno (il reddito di cittadinanza è una misura nazionale che sembra diretta al sud solo perchè abbiamo il vanto di avere maggiore povertà). Questa tesi è il filo che lega Salvini alla destra di allora e non deve meravigliare se molti ex AN (opportunismi a parte) scelgano quella strada.

Chi invece ritiene che, al contrario, è l’Italia che cresce (o perlomeno regge, che sarebbe già un risultato) solo se cresce il Mezzogiorno, non può sperare in soluzioni di sintesi con la Lega. E Salvini potrà essere il leader del centrodestra, al di là dei numeri, solo se, dopo aver abbandonato l’impronta federalista della Lega (a chiacchiere, perchè nel frattempo si va avanti con l’autonomia di Veneto e Lombardia, con la complicità anomala dello statista di Pomigliano), capirà che l’Italia può crescere solo se si recupera la missione nazionale del riequilibrio del Mezzogiorno. Nei fatti e non a chiacchiere, stavolta. Questo è il nodo del centrodestra che verrà. Se verrà”.