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Il Decreto Bonafede, prevedendo con una rigida scansione temporale l’obbligo da parte dei giudici di rivalutazione delle detenzioni domiciliari, “invade la sfera di competenza riservata all’autorità giudiziaria e viola il principio di separazione dei poteri”. Lo scrive il tribunale di sorveglianza di Sassari nell’ordinanza di rinvio alla Corte Costituzionale degli atti del procedimento a carico di Pasquale Zagaria, il boss dei Casalesi, fratello del capoclan Michele Zagaria, messo ai domiciliari il 23 aprile scorso per motivi di salute.

Allora i giudici sardi ritennero che Zagaria, affetto da una grave malattia, non potesse essere curato né in carcere nè in altre strutture dell’isola, tutte impegnate nell’emergenza Coronavirus, e così decise di farlo andare ai domiciliari a Brescia, dove vive la moglie, sottolineando peraltro di aver sollecitato invano il Dap a indicare una soluzione alternativa alla scarcerazione.

Il Tribunale indicò inoltre un termine di detenzione domiciliare di cinque mesi. E’ intervenuto poi il Decreto Bonafede, emanato per rimettere in carcere i boss scarcerati per l’emergenza Covid, come appunto Pasquale Zagaria. Le norme contestate sono contenute negli articoli 2 e 5: il primo impone ai giudici l’obbligo di rivalutazione delle condizioni della detenzione domiciliare immediatamente, nel caso di comunicazione da parte del Dap di una struttura penitenziaria o di un reparto di medicina protetta in cui ricoverare il detenuto, o entro quindici dall’adozione del provvedimento di detenzione domiciliare, e poi a cadenza mensile.

L’articolo cinque applica la previsione alle detenzioni domiciliari disposte dal 23 febbraio, ovvero durante la pandemia. I legali di Zagaria, Lisa Vairo e Andrea Imperato (nello staff anche Angelo Raucci), avevano sollevato questione di legittimità costituzionale delle due norme, soprattutto in riferimento al principio di eguaglianza (articolo 3), violato proprio dalla limitata applicazione ai detenuti rimessi in libertà dal 23 febbraio, e agli articoli 27 (principio di umanità della pena) e 32 (diritto alla salute). I giudici hanno accolto l’eccezione, ampliandola; hanno ritenuto infatti che l’articolo 2 del Decreto violasse anche gli articoli 102 e 104, relativi ai principi basilari che governano l’amministrazione del potere giurisdizionale, ovvero di autonomia e indipendenza della magistratura. I giudici scrivono inoltre che “la nuova valutazione a ritmi serrati impedisce una verifica istruttoria completa delle condizioni di salute del paziente”, e la “discrezionalità giudirsdizionale non ha possibilità di dispiegardsi in tutta la sua pienezza”.