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Maddaloni (Ce) – Oltre un terzo di bar e locali di Maddaloni (Caserta), o forse quasi la metà, si serviva delle slot machine del clan Belforte. Emerge dall’indagine della Dda di Napoli e della Guardia di Finanza che oggi ha portato sette persone in carcere e quattro ai domiciliari, quasi tutti appartenenti ai Marciano, nota famiglia di imprenditori da sempre al servizio del clan di Marcianise. Il clan, è emerso, reinvestiva i soldi della droga, dell’usura e delle estorsioni proprio nel fruttuoso mercato delle slot. In manette sono finiti anche tre imprenditori che gestivano società che però erano riconducibili ai Marciano. I finanzieri hanno anche sequestrato 130 slot in 22 bar e locali. Il capostipite dei Marciano, il 66enne Vincenzo, oggi solo indagato, nel marzo 2016 subì la confisca di prevenzione di beni e della sua società di slot machine per un valore totale di 5 milioni di euro. Nonostante i sigilli e l’amministrazione giudiziaria cui fu sottoposta la sua società, è emerso dall’inchiesta, l’anziano imprenditore, con l’aiuto dei sei figli Davide, Francesco, Giuseppe, Michele, Pasquale e Alberto (tutti finiti in carcere tranne Alberto, ndr), ha continuato ad essere monopolista a Maddaloni nel settore della distribuzione delle macchinette mangiasoldi. Il collaboratore di giustizia Michele Farina racconta come avveniva l’imposizione delle slot nei bar. Era molto semplice: gli affiliati, dice il pentito, tra cui il 39enne Ciro Micillo, finito ai domiciliari, e il 40enne Antonio Mastropietro, colpito da ordinanza in carcere ma già detenuto per l’omicidio di uno spacciatore, si recavano nei locali e dicevano a chiare lettere. “Dovete mettere le nostre slot”. Quelle già presenti, di proprietà della società di Marciano sottoposta a confisca, venivano spacciate per non funzionanti, con dello scotch che copriva la fessura dove si inseriscono le monete. Negli ultimi tre anni, Marciano e gli imprenditori prestanome hanno così continuato ad invadere Maddaloni delle proprie macchinette; alcune, hanno accertato i finanzieri guidati da Davide Giangiorgi, erano state alterate grazie alla presenza di un software che permetteva alle società proprietaria di incassare una percentuale maggiore di guadagno rispetto ai baristi. Non è stato ancora quantificato il valore dei beni sequestrati, ma si ipotizza che tra incassi delle slot e beni degli indagati si supereranno facilmente i cento milioni di euro.