- Pubblicità -
Tempo di lettura: 3 minuti

Fu uno dei delitti più “simbolici” del periodo in cui il clan dei Casalesi dominava incontrastato su parte del territorio del Casertano: l’omicidio di Salvatore Nuvoletta, carabiniere di 20 anni ucciso a Marano, in provincia di Napoli, il 2 luglio 1982. Un omicidio che rivelò l’indole violenta di una cosca capace di imporsi sul territorio a suon di omicidi e senza alcuno scrupolo nel colpire innocenti, adulti o bambini che fossero.
La decisione di Francesco Schiavone di collaborare con la giustizia potrebbe ora aprire nuovi scenari proprio per ricostruire nella sua interezza quel delitto. O quantomeno ci spera Gennaro Nuvoletta, fratello di Salvatore, che ha preso il posto del fratello e ha continuato la battaglia contro la camorra: sia lui che gli altri suoi quattro fratelli sono infatti nelle forze dell’ordine, tre nell’Arma dei Carabinieri e uno nella Polizia di Stato.

Ora che Schiavone si è pentito – dice – vogliamo sapere la verità su mio fratello Salvatore, sui mandanti del suo omicidio, mai individuati”. Gennaro ricorda che “alcuni anni dopo il delitto mia madre morì per il dolore”. E anche per questo che “va accertata finalmente la verità. E credo che Schiavone sappia tante cose sull’assassinio di Salvatore, visto che da sempre si dice sia stato tra i mandanti”.
Per l’omicidio è stato condannato un solo esecutore materiale, Antonio Abbate, mentre altri due erano già morti quando sopraggiunse la sentenza; ma soprattutto non sono mai stati individuati i mandanti del delitto. Si sa che i killer erano del clan Lubrano di Pignataro Maggiore, imparentato con il potente clan Nuvoletta di Marano (solo omonimo con la famiglia del carabiniere), affiliato a Cosa Nostra. Alla cosca maranese si erano rivolti i Casalesi, che volevano la loro vendetta dopo l’uccisione nel corso di un conflitto a fuoco con i carabinieri dell’esponente del clan Mario Schiavone detto “Menelik”, cugino di Sandokan e autista di fiducia di Antonio Bardellino, ad inizio degli anni ’80 capo indiscusso della cosca casertana.
Peraltro il carabiniere Nuvoletta non era in servizio il giorno della morte di Menelik, ma comunque si decise di ucciderlo, anche perché sembra desse fastidio al clan.
Quando arrivarono i sicari a Marano, dove Nuvoletta viveva, e fecero fuoco contro di lui, il carabiniere salvò dai colpi esplosi anche un bimbo, Bruno D’Aria, e per questo motivo ha ricevuto la Medaglia d’oro al valor civile; qualche anno fa inoltre fu posta una lapide che lo ricorda nel Parco Don Diana a Casal di Principe.

Mio fratello fu un eroe non solo perché salvò un bambino ma perchè tutti i giorni si impegnava per la legalità; eppure – conclude Gennaro Nuvoletta – gli hanno dato solo una medaglia al valore civile. Ci aspettiamo di più dallo Stato, anche per esempio la medaglia al valor militare”.