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“Se mi pento andate a lavare le scale”. Così, in modo brusco e diretto, il boss Michele Zagaria, nel corso di un colloquio intercettato nel maggio 2015 nel carcere milanese di Opera, si rivolge alla cognata Tiziana Piccolo, moglie del fratello Carmine, e alle sorelle Gesualda e Beatrice. La frase emerge dall’ordinanza firmata dal Gip di Napoli Federica Colucci che oggi ha portato in carcere per proprio Beatrice e le cognate, mogli dei tre fratelli Pasquale, Carmine e Antonio.

Per le donne del clan tutte l’accusa è di ricettazione con l’aggravante mafiosa; per la Dda di Napoli  – sostituti Catello Maresca, Maurizio Giordano e Alessandro D’Alessio con il coordinamento dell’Aggiunto Giuseppe Borrelli – le tre cognate del boss avrebbe percepito negli anni uno stipendio mensile di 2500, mentre Beatrice, che risponde anche di associazione camorristica, è accusata di aver retto le fila del clan almeno fino al febbraio di quest’anno, raccogliendo i soldi con cui pagare gli stipendi alle cognate e ad altri affiliati e farli arrivare ai fratelli detenuti. Gli inquirenti hanno calcolato che tra il 2011, ovvero dal giorno in cui il boss fu stanato dopo 16 anni di latitanza (7 dicembre), e il febbraio 2017, i quattro fratelli Zagaria hanno ricevuto in carcere 135mila euro dai familiari. Nel colloquio avvenuto ad Opera, il boss rimprovera con durezza la cognata Tiziana Piccolo, che a suo dire avrebbe affermato di ‘aver dato alla famiglia vent’anni della sua vita’. “Non li hai dati mica a noi – dice il capoclan – sei stata insieme a noi, hai vissuto insieme a noi vent’anni”. “Nella mia coscienza – prosegue Zagaria – mi sono pentito, però mi potevo pentire pure in altro modo. Se mi pento in un’altra maniera tu fra sei mesi vai a lavare le scale”. Poi rivolgendosi anche alle sorelle Gesualda e Beatrice, amplia la minaccia: “Allora, tu, tu e tu, andate a lavare le scale; può essere pure che tu ci vai perché non abbiamo cosa mangiare, non abbiamo che fare, e siamo d’accordo, però se io faccio il pentito, lo dico bello e chiaro, è per colpa mio che faccio il pentito, e tu devi andare a lavare le scalinate. Io prendo e mi impicco vicino al cancello”.

Dalle indagini emergono anche le lamentele delle cognate per il trattamento economico, che confermano come le donne venissero remunerate come se lavorassero. In un colloquio intercettato nel maggio 2015 in carcere con il marito Carmine, la Piccola se la prende con la cognata Gesualda. “I bambini a Pasqua non si dovevano vestire?” chiede al marito riferendosi al fatto che Gesualda non aveva provveduto a comprare gli abiti. “Qua ognuno pensa ai fatti suoi” dice la Piccolo. Anche Patrizia Martino, convivente di Antonio Zagaria, in un colloquio dell’agosto 2015, dice. “Io ho 52 anni e mi sono scocciata di chiedere l’elemosina; siamo al 26 e io devo ancora pagare il fitto al Tribunale”.