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NAPOLI – Per un commissario del Partito Democratico, soprattutto a Napoli e in Campania, ci sono frasi buone per l’occasione. E frasi sempreverdi.

Francesco Boccia, inviato da Enrico Letta per rammendare il partito dopo l’addio del segretario regionale deluchiano Leo Annunziata e lo scioglimento dell’assemblea che lo sosteneva, le utilizza entrambe. E mentre lo fa c’è da scommettere che incroci le dita: tra meno di un anno c’è la sfida delle elezioni politiche. E il Pd, soprattutto dopo l’esito delle amministrative, si sente come quella squadra che ha tutto per vincere. E che, quindi, vede come suo avversario più temibile proprio se stesso.

Per qualcuno, poi, più che tutto per vincere, ha semplicemente troppo. Stringi stringi, il nodo che Boccia è venuto a sciogliere in Campania è proprio questo: in Campania ci sono due Pd, come ha avuto modo di dire un paio di mesi fa il vicesegretario dem Peppe Provenzano riferendosi a quello di Napoli, filo-lettiano, e a quello eretico che orbita attorno al Governatore Vincenzo De Luca?

Quest’ultimo ha preso l’abitudine di presentarsi alle elezioni regionali, provinciali e comunali con liste proprie (leggi ‘Campania Libera’ et similia) se non in opposizione almeno in concorrenza con il Pd, vedi l’ultimo caso di Pozzuoli dopo quello clamoroso di Benevento nel 2021.
 
E allora commissario, come la mettiamo?
 
Per rispondere a questa domanda, Francesco Boccia, sapendo di muoversi in una cristalleria, fa ricorso al comparto delle frasi che fanno pensare che una soluzione in testa già ce l’ha: è il modello che sta percorrendo la sua Puglia.
 
“Con le liste civiche possiamo proporre una federazione. Le Agorà, la serie di incontri e dibattiti pubblici che da un anno il Pd di Letta propone come terreno di confronto tra il partito e tutto ciò che gli gira attorno, in tal senso, possono essere uno strumento. In Puglia, con questo metodo, si sono fatte delle regole condivise anche per individuare i candidati sindaci, ad esempio. Ed ora sono oggetto del congresso in corso. Il problema – avverte Boccia – non sono le liste in sé. Ma il motivo per cui vengono fatte. All’interno di una federazione, si può giungere anche a un coordinamento delle civiche”.
 
E quindi: in questa cristalleria chiamata Pd Campania, il commissario Boccia si muove come un alchimista per trovare la formula giusta e riportare all’interno del Pd chi, da De Luca in giù, la tessera del Pd ce l’ha solo in tasca.
 
Tuttavia, allo stesso commissario non sfugge che da De Luca in giù, per quelle liste civiche (ma meglio sarebbe dire personali) si è cooptato anche un ceto politico che poco o nulla ha a che fare con il centrosinistra, nemmeno nella sua accezione più ampia di ‘campo largo’.
 
“Certo – è la risposta di Boccia – ma Letta, dal suo insediamento alla guida del partito, mette tutti davanti a una discriminante valoriale: sta con noi solo chi è per il salario minimo, i diritti, lo ius scholae, l’ambiente. Vedete, per le prossime politiche, o si sta da una parte o da un’altra. O con noi condividendo questi valori o con i sovranisti”.
 
E quindi: la prima mossa sullo scacchiere del commissario Boccia è questa. Il campo è largo. Ma fino a un certo punto. Starà agli altri, più prima che poi, scegliere da che parte stare.
 
“Non voglio perdere tempo col bilancino delle correnti se queste non si dimostrano altro che organizzazioni strutturate per la carriera di una sola persona”, è un’altra frase che si sottolinea.
 
Da Benevento ad Avellino, “dove ci sono divisioni da affrontare”, fino a Caserta, “commissariata perché lì bisogna andare ancora più in profondità nel riorganizzare tutto il partito e ridargli una identità”, le sfide sui territori sono tante. “Per questo non voglio prendere alcuna decisione in solitaria”, promette Boccia.
 
“Il Pd è bello perché al suo interno si può discutere, anche con maggioranze e opposizioni. Ma l’importante è che queste ultime non si organizzino fuori dal Pd”, è un altro avviso ai naviganti.
 
Del resto, per un commissario dem a Napoli, promettere una dura battaglia “contro le correnti” è un sempreverde. Quasi come dire che “c’è bisogno di una nuova classe dirigente giovane e donna”. Anche questo, naturalmente, fatto.