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Napoli – Crescono i contagi in Campania ma secondo gli esperti il picco avverrà a dicembre. Il Governo ha posizionato la Campania sulla prima linea dell’emergenza, ma su una fascia di rischio moderata. Ma è l’area metropolitana di Napoli a fare più paura visto il maggior numero di contagiati dall’inizio della emergenza con oltre 40 mila 700 casi. “È un po’ come la teoria dei vasi comunicanti non si può immaginare di chiudere una sola zona. Ora, come dice il presidente De Luca, è già tardi e si sarebbe dovuto agire già tre settimane fa, ma prevedendo limitazioni nazionali”. Sono le parole dell’infettivologo Alessandro Perrella, referente dell’Unità di crisi campana, che in un’intervista a “Il Corriere del Mezzogiorno” ritiene inutile decretare la zona rossa a Napoli.

Nel report aggiornato sull’andamento della curva dei contagi, Perrella considera come “negli ultimi 21 giorni la velocità di diffusione del virus si sia dimostrata essere più rapida di quanto i sistemi di contenimenti messi in atto potessero fare per arginarne la crescita. Tale andamento della crescita lascia presagire ulteriori incrementi che necessitano di nuove misure per poterne arrestare il vigore, determinando, come già accaduto nella prima fase, la flessione della curva epidemica”.

“Un inverno i cui presagi – continua Perrellaerano già presenti nel mese di agosto in Campania. Grazie all’utilizzo di analisi previsionale erano stati valutati i possibili scenari che si sarebbero potuti determinare a seguito dell’apertura e della libera circolazione post-lockdown. In questo nuovo scenario la maggior parte dei soggetti positivi sono stati asintomatici e pertanto stimare l’andamento dell’infezione è divenuto complicato, data la variabile difficilmente inquadrabile e vincolabile. Asintomatici che sul finire di giugno la stessa OMS aveva definito, non senza qualche dubbio, come poco probabili diffusori di infezione. Ciononostante in Regione Campania si è continuato a lavorare mediante un contact tracing capillare per valutare il reale peso degli asintomatici, ma a patto che si potessero verificare talune condizioni, dettate dal loro stato clinico”.

Per l’infettivologo del Cardarelli il contagio della seconda ondata è partito e si è diffuso tra le mura domestiche, ed è da qui che sono partiti i focolai: “È proprio così – conclude Perrella – il contagio, da fine agosto sino a fine settembre, si diffonde tra le mura domestiche ove le mascherine non sono necessarie o nei nuclei di aggregazione sociale giovanile dove il distanziamento è per definizione poco presente se si beve un drink o si mangia in compagnia”. Insomma, alla fine, cosa resta da fare? “Troppe variabili in gioco, così come le scuole che hanno rappresentato di fatto un serbatoio di asintomatici che si è aggiunto a quelli già liberi di circolare e che hanno aumentato il contagio in ambiente familiare. Intraprendere un percorso di chiusure, anche chirurgiche, ma di carattere nazionale, lo ribadisco, è probabilmente l’unica scelta per arginare la diffusione”.