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Avrebbe utilizzato il suo ruolo di curatore fallimentare in forma distorta, inducendo un imprenditore fallito a fargli regali costosi. Per queste accuse, la Corte d’appello di Napoli ha condannato il commercialista Giuseppe Savona a 2 anni e un mese di reclusione (pena sospesa). La seconda sezione penale (presidente Maria Francica) ha però dichiarato il non doversi procedere nei confronti dell’imputato, in relazione alla condotte commesse fino all’8 gennaio 2013, estinte per intervenuta prescrizione. La pena – in primo grado 2 anni e 6 mesi – è stata così rideterminata, con riguardo agli addebiti compresi tra il 1 giugno e il 2 ottobre 2013. Nella sentenza emessa lo scorso 5 dicembre, sono state riconosciute le attenuanti generiche e la continuazione del reato.

La Procura di Napoli aveva contestato al curatore il reato di concussione, in seguito rimodulato in induzione indebita a dare o promettere utilità. Il procedimento è partito dalla denuncia di Lucio Marsicano, imprenditore di San Giorgio a Cremano, ramo calzaturiero. L’uomo, costituitosi parte civile, avrebbe ricevuto per anni le richieste di Savona.

Secondo le indagini, l’imputato “durante gli incontri, approfittando del suo ruolo di curatore fallimentare ha fatto credere a Marsicano di poter ritardare le aste o di farle andare deserte per far scendere il prezzo degli immobili posti all’asta”. L’obiettivo sarebbe stato di “farli riacquistare a membri della famiglia del fallito, così abusando della sua qualifica e contestualmente favorendo indebitamente” l’imprenditore. In sede di denuncia, Marsicano aveva sottolineato la sua sudditanza psicologica verso il curatore: “Ero totalmente inesperto, non sapevo cosa significasse un termine fallimentare, pendevo dalle sue labbra”. Adesso, potrebbe essere la Cassazione a scrivere l’ultimo capitolo della storia.