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Napoli – Il sindaco Luigi de Magistris non ha dubbi: «I sequestrati dallo Stato vanno liberati con ogni azione democratica». Così in un tweet il primo cittadino di Napoli, intervenendo sul caso della nave Diciotti, il cui futuro resta ad oggi un clamoroso punto di domanda.

Nel suo commento l’ex pm torna così a mettere nel mirino l’Esecutivo e, soprattutto, il suo ministro dell’Interno, il leader leghista Matteo Salvini: «Il Governo per capriccio politico – aggiunge de Magistris – sta mettendo a rischio il Paese, gli italiani e delle vite umane. È il Governo del cambiamento, in senso eversivo dei principi fondamentali della Costituzione Repubblicana». Intanto si apprende che è stato l’Ufficio di Sanità marittima di Catania a ordinare lo sbarco immediato delle undici donne e dei cinque uomini dalla nave Diciotti della Guardia costiera ormeggiata da cinque giorni al porto di Catania. Le donne avrebbero subito stupri durante le permanenza nei campi della Libia, con traumi fisici e psicologici evidenti. Sulle donne, in particolare, il pressing era giunto da più parti, dopo lo sbarco alcuni giorni fa dei 27 minori. Due dei migranti si sospetta abbiano la tubercolosi. Ieri il garante dei detenuti aveva sottolineato anche la presenza di gravi casi scabbia. Oggi sono saliti a bordo medici e ispettori del ministero della Salute per una valutazione sanitaria medica e per verifica dei compiti di profilassi internazionale. Ci sarebbe, a quanto si è appreso, l’ok anche del ministero dell’Interno. Dalla guardia costiera ieri era stata peraltro reiterata ai ministeri e alle procure, la richiesta dello sbarco immediato di tutti. E anche di «emergenza psicologica» ha parlato Stefano Principato, presidente della sezione provinciale della Croce Rossa: «L’ispezione è stata attivata – ha aggiunto Principato – su richiesta del ministro della Sanità che ha chiesto un controllo sanitario. Ci sono alcuni casi di scabbia e altre patologie diagnosticate, ma sono trattate bene anche perché a bordo della Diciotti c’è del personale qualificato». L’incubo è ancora tutt’altro che finito.